Quel giorno, a Goodwood .....

 






Non erano neppure passati due mesi dal trionfo al Santiago Bernabeu e doveva essere ancora metabolizzata quella vittoria.

L’Italia era campione del mondo e volevamo gustarci a lungo quell’emozione che ci aveva accompagnato durante l’estate.

Calcio più che mai ai vertici , dunque, ma era anche logico. Non capitava dal ‘38 e solo i più anziani potevano avere il privilegio di rivivere la stessa gioia.

Per la mia generazione era la prima volta, dopo il secondo posto dell’Azteca ed il quarto di Baires, ma anche dopo la Corea ed il Mondiale di Germania.

Sembrava che il calcio avesse fagocitato tutto il resto e che gli altri sport non reggessero il confronto.

Nel ciclismo, i successi azzurri di quell’anno non erano stati altrettanto esaltanti

Contini aveva vinto la Liegi, Beccia la Freccia Vallone ma nelle altre classiche di primavera non si era visto altro.

Hinault aveva bissato il successo al Giro , nel quale era stato appena impensierito proprio da Contini, con Moser e Saronni mai in gioco per la classifica..

Quanto al Tour, poi, la scarna presenza azzurra non aveva regalato neanche un successo di tappa.

Saronni aveva sì vinto il Giro della Svizzera dopo che ad inizio stagione si era imposto alla Tirreno-Adriatico, ed aveva vinto altre corse ma, nel complesso, di fronte al mondiale di Madrid il bilancio pendeva nettamente a favore dei neo Cavalieri al merito della Repubblica.

Ci voleva un successo pesante per le due ruote nostrane , e restava soltanto il campionato del mondo.

Bisognava vincere, ed erano cinque anni che non accadeva, dai tempi del successo di Moser in Venezuela.

Era pur vero che l’anno successivo il trentino era stato beffato sulla linea da Knetemann e che, nel 79, Giovanni Battaglin era stato scaraventato a terra senza troppi complimenti da Raas, ma a Sallanches Hinault aveva vinto senza discussioni.

Erano poi ancora vive le polemiche del mondiale di Praga , e quel secondo posto di Saronni bruciava , eccome!

La squadra azzurra aveva dominato , ma non era riuscita a concretizzare: colpa di Beppe, al quale era mancato lo spunto finale, o di Baronchelli, che gli aveva tirato male la volata?

O di Panizza, piuttosto, che si era preso la briga di andare a riprendere il Tista, fuggito a due chilometri dal traguardo in compagnia di Millar?

O di Moser , magari, che se avesse aperto lui la strada a Saronni, quest’ultimo avrebbe piazzato lo spunto buono.

Come che fosse andata nella città dai tetti d’oro, comunque, bisognava ritornare a vincere : dimenticare Praga, era la parola d’ordine.




Si corre a Goodwood, quell’anno , ed è la seconda volta che si attraversa la Manica, dodici anni dopo la vittoria di Monserè.

Il precedente non è incoraggiante , quindi, e bisogna cancellarlo, anche per le accuse che il belga aveva rivolto a Felice reo, a suo dire, di avergli offerto soldi in cambio del successo.

Poi Gimondi avrebbe confessato (dopo la tragica fine del belga) che sì, ci aveva provato ad ammorbidirlo.

Era stata perfida , Albione, quella volta , anche per il tempo: un autunno inoltrato a metà agosto che non stimolava a gareggiare.

Il circuito (15 chilometri e trecento metri da ripetere diciotto volte) non è certamente difficile, ma prevede un arrivo in salita: non impossibile ,certo, ma quei settecento metri finali al 4-5% dopo 275 chilometri di gara possono fare la differenza.

La squadra è forte, come al solito. Oltre a Saronni e Moser, ci sono Baronchelli, Argentin, Amadori, Ceruti, Chinetti, Contini, Gavazzi, Leali, Masciarelli e Torelli.

Ma talvolta non conta tanto la forza dei singoli, quanto piuttosto la capacità di essere un gruppo vincente..



E per far questo ci vogliono gli uomini ad hoc.

Se Ciccio Graziani è stato l’uomo –squadra per la nazionale di Bearzot, Alfredo Chinetti lo è per quella di Martini. L’esperto corridore varesino sa fare gruppo, stempera le tensioni , favorisce l’armonia all’interno della squadra: un elemento prezioso sotto l’aspetto umano, oltre che un atleta solido.

La vigilia della gara è funestata dalle notizie che arrivano dall’Italia: il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa viene ucciso a Palermo in un agguato di mafia e le cronache sono interamente dedicate a quel tragico evento.

Gli echi dell’eccidio rimbalzano nel ritiro azzurro.

Martini catechizza i suoi : Praga non deve più ripetersi e la squadra farà quadrato intorno a Saronni, che ha fatto in tempo a vincere la coppa Agostoni prima di salire sull’aereo per l’Inghilterra, dando così la conferma delle sue condizioni di forma.

Se l’anno prima c’era una leggera, impercettibile ascesa ai duecentocinquanta metri finali ( o almeno così aveva detto il Bimbo, per giustificare quelle mani alte sul manubrio che avevano fatto tanto discutere ) , stavolta l’arrivo sembra fatto apposta per esaltare le doti del novarese.

Che ne ha vinte, di corse: ma per una strana maledizione ogni anno ( e accade dal 78, ormai) vede sfumare un successo importante. E’arrivato secondo in tre Sanremo consecutive e in un mondiale: troppi argenti, ci vuole il metallo che conta.

E poi è diventato papà durante il Giro d’Italia e vorrebbe tanto che la piccola Gloria vedesse i colori dell’arcobaleno.

Si arriva quindi a quel 5 settembre. E’ bello il verde del Sussex, e alla partenza gli ombrelli sono chiusi.

L’avvio della gara è piuttosto veloce con Duclos -Lassalle che guida il gruppo al primo passaggio davanti alle tribune.

Nel secondo giro prende il largo il francese Vallet, vincitore della maglia pois al Tour. La sua fuga infinita (che raggiunge un vantaggio di oltre sei minuti) dura fino al dodicesimo giro quando il transalpino viene raggiunto e superato da Tommy Prim.




Nel frattempo si sono ritirati Maertens, il campione uscente, e Bernard Hinault , tra i fischi del pubblico. C’è stata anche una spruzzata di pioggia, giusto per ricordare a tutti che si corre in Inghilterra.

Al quattordicesimo giro Prim viene raggiunto ,Vallet si ritira e il ritmo sale : quella tornata viene percorsa a quasi 49 di media, con lo svizzero Demierre che prova ad uscire.





E’ durante il sedicesimo giro che Moser esce in discesa , con Zootemelk alle calcagna. Si scatena la bagarre e il gruppo si frantuma . Restano in corsa una sessantina di corridori dei 136 partiti.




Al penultimo giro si mettono in luce Lejarreta e Kuiper e nell’ultima tornata sono Baronchelli e , soprattutto, Chinetti ad impegnarsi in preziosi lavori di ricucitura.

Le immagini della rampa finale sono state viste troppe volte per essere ricordate. Lejarreta prima e Boyer poi sembrano azzardare qualcosa.

Poi, improvvisamente, quello scatto micidiale , che passa alla storia come la fucilata di Goodwood.

E’ un proiettile, Beppe, lanciato verso il traguardo con un rapportone (53x15) a cui nessuno resiste.

Arriva a braccia alzate e la sua è un vittoria per distacco. Lemond, secondo, è staccato di cinque secondi, Sean Kelly di sette.




E’un trionfo di prepotenza, che esalta i nostri connazionali sul circuito ed entusiasma chi assiste alla telecronaca: molti, infatti, si appassionano al ciclismo proprio assistendo a quell’impresa.

Stefano del Tongo piange di gioia e abbraccia Martini.

Stavolta la regia del toscano è stata premiata ed i duellanti del nostro ciclismo hanno lasciato per un giorno le sciabole nei foderi.

Saronni, addirittura, ringrazia il suo storico rivale, che lo ha pilotato nelle prime posizioni in vista dello scatto finale.

Non si pentirà di avermi aiutato”, dichiara Beppe, e i giorni della Sanremo dell’81 sembrano lontani un secolo.



E’ raggiante , il vincitore, e sale sul podio senza scarpini: aveva stretto i cinghietti troppo forte per non sprecare neppure un briciolo di energia e aveva pigiato sui pedali con tale violenza che i suoi piedi, alla fine , non avevano resistito.

Beppe, poi, non ha parole di ringraziamento solo per Francesco, Masciarelli e Chinetti.



Ricorda anche Carletto Chiappano, volato in cielo due mesi in prima , per un maledetto incidente a Casei Gerola. Era un amico, un consigliere, oltre che il suo direttore sportivo, e un pezzo di iride è senz’altro merito suo.

Cipollini e Petacchi sono due ragazzini, ma ci sono anche loro, come noi, davanti alla tele.

Esplodono di gioia con Saronni e chissà quante volte, nelle loro volate, hanno pensato di emularlo

E il trionfo di Saronni (che a Raschi evoca il ricordo di Ribot) completa una serie di successi tricolori che rendono ancora più intenso l’azzurro del cielo di quell’inizio di settembre.




I fratelli Abbagnale vincono a Losanna e , mentre Beppe vola a Goodwood, Uncini si laurea campione mondiale di motociclismo, nella classe delle 500 .

Il giorno successivo, poi, Alberto Cova avrebbe trionfato agli europei di atletica conquistando un prestigioso successo nei 10.000 metri.

Ma quella volata di Saronni sarà ricordata a lungo e il triplice “campioni del mondo!” lanciato da Martellini dopo il fischio finale dell’arbitro, la sera dell’11 luglio, non resta un fatto isolato.

DeZan, ispirandosi a Nando , non è da meno. “Saronni campione del mondo, Saronni campione del mondo, Saronni campioni del mondo!”, esclama mentre l’azzurro taglia a braccia alzate il traguardo.

Con il calcio è pari e patta.

E va bene così.

                                                              



p.s.

Nei primi anni Novanta Beppe Saronni venne invitato a Chiavari, dove allora vivevo,  per ricevere un premio.

Mi presentati all’incontro  con il  campione  portando il libro "Ciclismo, I campioni del Mondo" e, al termine della manifestazione, gli chiesi un’autografo, che Saronni appose sulla illustrazione che celebra la sua vittoria ottenuta a Goodwood nel 1982.

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