Giro del Piemonte 1939: primi battiti per l'Airone



 









Se è vero che gli esami non finiscono mai, è altrettanto vero che il primo esame spesso si rivela quello decisivo, la prova da cui dipende il destino di   una persona.
Anche lo sport non si sottrae a questa regola, neppure il ciclismo ammette eccezioni.
Il Giro del Piemonte del 1939 fu, per Fausto Coppi, il primo importante test della sua carriera.
Se l'avesse superato si sarebbero aperte per lui le porte del ciclismo professionistico: si sarebbe "accasato", come si diceva all'epoca.

Aveva diciannove anni, il ragazzo di Castellania, e Biagio Cavanna giurava sulle sue qualità.
L'orbo di Novi l'aveva capito da come quell'anno aveva scalato il Penice e il Canneto, e pazienza se al Giro di Toscana una caduta gli aveva impedito di restare con i primi.
La stoffa c'era, insomma, ma bisognava dimostrarlo in una corsa vera, una classica impegnativa.
Sarebbe stato il Giro del Piemonte la verifica. Cavanna ne aveva parlato con Pavesi, il ras della Legnano: se "l'avucatt" si fosse convinto delle doti del tortonese, l'avrebbe preso nella squadra dei ramarri, alla corte di Bartali.

Non erano stati giorni tranquilli, per Fausto, quelli della vigilia.
Nelle lunghe serate di primavera inoltrata a Castellania non si commentava solo il Giro d'Italia, finito da pochi giorni, o la vittoria in campionato del Bologna. C'era chi raccontava di avere visto ad Alessandria un film americano che non finiva più (Via col Vento, era il titolo) e chi imitava Macario ripetendo le battute della sua ultima rivista .
Ma la firma del Patto d'acciaio con la Germania faceva discutere.
Sarebbe stata guerra, da lì a poco, c'era chi lo giurava; e quelli che l'anno prima avevano assistito al discorso di Mussolini a Genova cercavano, invano, di tranquillizzare i compaesani dicendo che il Duce, alla fine, una soluzione l'avrebbe trovata.
Fausto ascoltava non senza preoccupazione e si augurava, in cuor suo, che l'unica divisa che avrebbe indossato sarebbe stata quella di un professionista.




In un anno ne aveva fatta di strada: dalla prima vittoria a Castelletto d'Orba, a un tiro di schioppo da casa, sarebbe stato proiettato sul palcoscenico del ciclismo dei grandi. Avrebbe corso nella sua terra, e neppure si sarebbe sobbarcato una trasferta troppo pesante.
Vuoi mettere andare a Torino? Una passeggiata rispetto al viaggio in treno fino a Firenze, quando era partito da casa con le uova sode nella borsa.
Lui ce l'avrebbe messa tutta, come l'anno prima al Circuito dell'Appennino quando la Bocchetta l'aveva respinto, ma non gli aveva fatto paura.
Era emozionato, certo, per la prova che l'attendeva. Come se non bastasse, poi, si era messo di mezzo Girardengo a creare un clima di tensione.
Anche il Campionissimo, infatti, aveva messo gli occhi addosso a Fausto ed era salito a Castellania, proprio qualche giorno prima, per proporre il passaggio alla Maino.
Non sapeva che fare, Coppi: elettrizzato per l'attenzione che gli rivolgeva il grande campione e insieme imbarazzato. Sapeva dell'accordo tra Cavanna e Pavesi, ma vedere l'omino di Novi in casa sua...
Ancor più di lui il padre e lo zio erano lusingati e, insieme, intimoriti: come si poteva rifiutare l'offerta? Si poteva rispondere picche a Girardengo? No, non si poteva.
Quella firma su un pezzo di carta avrebbe mandato su tutte le furie Cavanna, che se avesse avuto tra le mani il Gira l'avrebbe strozzato.
Che poi: cos'era quella firma? «Una opzione», gli aveva detto il padre.
La sostanza non cambiava: per correre con la Legnano o con la Maino, Fausto avrebbe dovuto dimostrare il suo valore al Giro del Piemonte.
E quella firma, tutt'al più, sarebbe stata faccenda per avvocati.
«Dài Fausto, che vengo anch'io a Torino e ti porto in teatro a vedere Macario. Ci sono delle ragazze che neanche te le sogni!...», gli disse un amico del papà.






È il 4 giugno il giorno. A Torino fa caldo e ci sono tutti.
Bartali, ovviamente, vincitore nell'edizione di due anni prima, e con lui Valetti, il piemontese che l'ha umiliato sul Tonale, all'ultimo Giro d'Italia. E Bini, Del Cancia, i più bei nomi del ciclismo nostrano che si affrontano su un tracciato che sfiora i 270 chilometri.
Fausto veste la maglia gialla del suo gruppo sportivo, il Santamaria di Novi, ed ha un compito preciso, secondo le istruzioni ricevute da Cavanna: restare incollato alla ruota di Bartali, cosicché anche il campione toscano possa accorgersi di lui.
Partono in settantacinque e dopo duecento chilometri Fausto è ancora con i primi.
Non è facile, si capisce, reggere il ritmo di tutti quelli che sono usciti dal Giro nel pieno delle forze e al tortonese sembra un sogno essere in mezzo al fior fiore dell'italico pedale.
E non azzarderebbe alcuna iniziativa se, a un certo punto, Debenedetti, un tortonese della Legnano, lo incitasse a passare all'attacco. È Pavesi che vuol vedere di che pasta è fatta il ragazzo: stare a ruota va bene, ma scattare in faccia a tutti è un'altra faccenda.
All'attraversamento di Castelnuovo attacca su una salitella. Nessuno si impensierisce e lui continua, senza voltarsi. Si alza sui pedali e spinge, spinge forte, facendo il vuoto alle sue spalle.
Mancano una quarantina di chilometri al traguardo: il pubblico si aspettava Bartali, non certo quel ragazzino in maglia gialla che vola in solitudine verso la capitale sabauda.
Pavesi si frega le mani e morde il bocchino della pipa, che accende in continuazione: già pensa al prossimo Giro, con Bartali candidato al successo spalleggiato dal giovane piemontese.





Vola Coppi, sulle strade della sua terra: Torino si avvicina e comincia a crederci.
Sulla salita di Moriondo, nel tentativo di cambiare rapporto, gli salta la catena... è costretto a mettere il piede a terra, e cerca disperatamente di rimediare alla situazione, ma il 48x16 inserito troppo frettolosamente non è il rapporto giusto per quelle rampe.
Insiste, ma che fatica! Il vantaggio scema rapidamente, anche perché da dietro sta rinvenendo Bartali, che si stupisce nel vedere quel ragazzo che arranca sulla salita con un rapporto impossibile.
Quando lo affianca, gli basta uno sguardo - al Gino - per ricordarsi di lui.
Massì, è quel piemontese che aveva visto al Giro di Toscana! Ha fegato, il ragazzo, peccato che la sua avventura – pensa - sia destinata a finire.
Allunga il toscano, ma quell'ombra gialla gli resta incollata alla ruota: «Stai alla ruota di Bartali!», gli aveva ordinato Cavanna, e Coppi esegue.
Gino è stupito di tanta tenacia, e gli propone di collaborare alla fuga, insieme a Del Cancia, Leoni e al tricolore Bizzi.
Coppi accetta e resiste fino a Chieri, ma sull' ultimo colle di giornata - la Rezza - Bartali si invola con Del Cancia.
Fausto non ce la fa a rimanere con i battistrada, però non si scoraggia : prosegue in solitudine su quell'asperità certo non impossibile e al motovelodromo torinese è terzo, a poco più di due minuti da Gino, che ha avuto ragione di Del Cancia.





Cavanna è commosso per un piazzamento che sino al giorno prima pareva un sogno, ed è il primo ad abbracciarlo. L'esame è stato superato, non c'è dubbio, e anche Bartali si complimenta: gli è piaciuto, il ragazzo, e potrà essergli utile l'anno venturo.
In serata viene sottoscritto il contratto che lo legherà alla Legnano per settecento lire al mese: non male come primo ingaggio.
E con Girardengo non ci sarà bisogno di andare dall'avvocato: la firma dell'opzione costerà al papà di Fausto 4200 lire perché l'omino di Novi sarà pure il Campionissimo, ma non è disposto a fare sconti.





La favola di Fausto era appena cominciata e quel Giro del Piemonte avrebbe rappresentato solo il primo capitolo di una fantastica, irripetibile avventura.
Non poteva immaginare che la gioia di quel pomeriggio si sarebbe trasformata, dodici anni dopo, in tragedia. Il Giro del Piemonte, la corsa che lo aveva fatto conoscere agli sportivi di tutta Italia, quella volta – era il 1951 - fu crudele: gli portò via per sempre il fratello Serse, per quella maledetta caduta sulle rotaie di Corso Casale.
E se sfogliate l'albo d'oro di Coppi non troverete - incredibilmente - alcuna vittoria nella classica che fu di Gerbi e di Girardengo, di Binda e di Bartali, di Magni, di Gimondi e di Merckx.
Eppure la sua storia ha avuto inizio più di ottant'anni fa, tra i vigneti delle Langhe, le pianure dell'alessandrino e i colli torinesi: Fausto c'è ancora sulle strade del "Gran Piemonte".


www.cicloweb.it, settembre 2010

 

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