San Pellegrino in Alpe: l'ora di Zaina
Una vecchia cartolina , di quelle in bianco e nero, incuriosisce sempre. Se poi raffigura un luogo sconosciuto, ancora di più. La vedevo sin da bambino, tra le quelle conservate da mia zia Eugenia. Era una cartolina che raffigurava un cippo sormontato da una croce e, sullo sfondo, una catena montuosa.
In alto, a
destra, una chiara indicazione in rima
:”Risponde, com’eco di voci lontane, la
bianca visione de l’Alpi Apuane”.
Quindi doveva trattarsi della Toscana, perchè là erano posizionate le Alpi Apuane, bianche di marmo. Mica le avevo mai viste dal vivo, beninteso, ma le foto sul sussidiario rendevano bene l’idea. E poi quel racconto su Luni, la città di candido marmo, distrutta dai Barbari che la saccheggiarono convinti di essere arrivati a Roma. “Ma dov’è San Pellegrino in Alpe?” chiedevo incuriosito.
“Fammi vedere, chi l’ha scritta?…Ah, è di
Eufemia! Allora deve essere dalle sue parti, vicino a Castelnuovo, in
Garfagnana”.
Fu al Giro
dell’89 che venne scoperto San Pellegrino in Alpe.
Era un Giro
duro, con tante salite . Dopo le Dolomiti , Torriani aveva inserito due tappe
appenniniche prima della conclusione a Firenze.
La prima
(Voghera –
Quella
successiva , da
Ma San
Pellegrino mai. Era una novità assoluta. Il profilo altimetrico incuteva timore. Un’impennata secca verso il
cielo, proprio alle spalle di Castelnuovo, al confine tra Toscana ed Emilia .
Ma
quell’anno era collocata troppo
distante dal traguardo e, pur temuta, non fece registrare sconquassi. Neppure
ebbe l’onore delle diretta televisiva . La superarono in tanti senza eccessivi
patemi e Gianni Bugno scelse di involarsi in fondo alla discesa delle Piastre
per cogliere un bel successo a Prato
Il Giro del
1995 la riscoprì, in una tappa ( l’undicesima) che prevedeva l’ascesa alla Foce
dei Carpinelli e la conclusione al
Ciocco dopo 175 chilometri. E stavolta era ben posizionata, in grado di
dare uno scossone forse decisivo alla corsa , prima dell’ultima salita.
Una tappa pensata per Pantani, si disse. E Marco andò a provarla , quell’inverno, in compagnia del fido Siboni. Salita impegnativa , la definì il Pirata: non tanto nei primi chilometri, quanto nel finale, da paura. Un paio di chilometri- in alcuni punti la pendenza è prossima al 20%- che costrinsero Marco a utilizzare il 24. Avrebbe preferito che la tappa del Giro terminasse lassù, ma la durezza della salita, secondo il romagnolo, avrebbe comunque lasciato il segno prima dell’erta finale , anch’essa temibile.Poi Pantani fu vittima di un incidente, poco prima dell’inizio del Giro e non potè presentarsi alla partenza delle Corsa Rosa.
Quel 25
maggio partimmo in moto da Chiavari, Rosa ed io, alla scoperta della Garfagnana
e di San Pellegrino.
Autostrada
sino ad Aulla (non ancora famosa, all’epoca, per il monumento a Bettino Craxi), poi
Paesaggio
verdissimo,
Fu una
fortuna andare in moto. Il transito per le auto era già stato interdetto , ma
per
La prima
parte della salita non presentava particolari asperità: costante, ma senza
pendenze eccessive.
Dopo alcuni
chilometri la strada spianava e, addirittura, c’era un tratto in leggera
discesa.
Poi, improvvisamente, un muro. Da lì sino al
millenario Santuario un percorso durissimo: nulla da invidiare ad una salita
alpina.
In
prossimità della chiesa il tratto più ripido , e anche la moto (un vecchio 350)
faticava a mantenere una buona andatura.
Quel
cartello che indicava il 18% di pendenza non sembrava rispecchiare l’effettiva
durezza della salita che, almeno in certi punti, pareva assai più severa.
Dopo il
Santuario la salita proseguiva fino a raggiungere il Passo, ma in realtà la
vera vetta era proprio li, all’altezza di quella chiesa fondata - si dice- da
un discendente del Re di Scozia.
Un luogo suggestivo, una terra di confine contesa per secoli tra emiliani e lucchesi che, alla fine, decisero salomonicamente di dividere a metà anche il santuario con il risultato che i resti dei due santi custoditi all’interno (San Pellegrino e San Giovanni Bianco) sono per metà in Toscana e per metà in Emilia.
Ci piazzammo
poco prima del Santuario per attendere
il passaggio dei corridori.
Era una di quelle giornate magiche, ricche di
sole ma con l’aria ancora frizzante della primavera. Su alcune vette
dell’Appennino tosco emiliano c’erano tracce di neve: il monte Cimone si
distingueva benissimo.
Pur essendo
un giorno feriale c’era la folla delle grandi occasioni, con gli appassionati
toscani a farla da padrone.
Rominger era in maglia rosa , seguito in classifica da
Berzin e Ugrumov. Insieme al duo della Gewiss, si aspettavano grandi cose
soprattutto da Casagrande e da Chiappucci. Il Diablo, assente Pantani, sarebbe stato capace di infiammare gli
animi dei tifosi rendendo vita dura all’elvetico della Mapei? E Casagrande
avrebbe provato a lasciare il segno nella sua terra?
Fu una fuga
a lunga gittata a caratterizzare quella tappa: poco dopo la partenza partirono
in 12 a velocità folle: quasi
E c’era
Podenzana, in maglia tricolore, e Cipollini -in maglia ciclamino- che sentiva
aria di casa.
E c’erano Zaina , Miceli e Saligari e con loro
Scinto e Vatteroni, Molinari e Canzonieri, Pagnin, Meyer e Hunderktmark.
Sulla
Foce Carpinelli transitò per primo il
campione d’Italia , applaudito dal babbo
che lo aspettava lassù, all’altezza del GPM.
.Neppure una caduta, nella successiva discesa, ostacolò la fuga.
La valle del
Serchio, anzi, ricompattò i fuggitivi che si presentarono, tutti insieme,
all’attacco del San Pellegrino.
In cima, nel
frattempo, passava Bartali alla guida
della sua Golf bianca , e fu entusiasmo
da stadio.
“C’è Bartali, babbo”, disse un tifoso
all’anziano genitore che , un po’ barcollando, fece appena in tempo ad
esclamare “Gino!” all’indirizzo del
vecchio campione.
Mi girai ,
e dietro alle lenti vidi gli occhi
umidi.
All’inizio
della parte più dura della salita Luca Scinto si trovò da solo al comando della
corsa.
Alle sue
spalle resisteva Vatteroni, che venne ben presto raggiunto da Zaina.
L’atleta della Carrera raggiunse poi il temporaneo fuggitivo e,
sulle rampe più dure della salita, lo staccò.
Il bresciano
si presentò da solo in vista del Santuario , tra un tripudio di folla.
Per poterlo
vedere bisognava sporgersi, farsi largo tra i tifosi.
Zaina era preceduto dalla moto della televisione e
da una motostaffetta della polizia
stradale.
Mia moglie
Rosa, presa dall’entusiasmo, si sporse troppo. Apparve in primo piano, in
diretta televisiva, ma il suo piede andò
ad incocciare quello del poliziotto che, data l’andatura , era costretto- per
mantenersi in equilibrio-a procedere con i piedi fuori dalle pedane. Pur barcollando vistosamente, riuscì a mantenersi
fortunosamente in equilibrio, non
mancando di lanciare un’occhiataccia a Rosa (e forse anche qualche parola
irripetibile che, nel trambusto generale, non si riuscì a percepire.).
Fu quasi
un miracolo se non accade di peggio.
Il gruppetto
della maglia rosa seguiva ad oltre due minuti. L’elvetico chiedeva
ripetutamente acqua agli spettatori, ma nessuno si lasciò commuovere. E con
lui, tra gli altri, c’erano Casagrande e Rebellin, Berzin e Ugrumov, Cenghialta e Lanfranchi,
Dopo il loro
passaggio i distacchi cominciarono a farsi pesanti. Passò Cipollini, che
sembrava quasi fermo.
Le
ammiraglie procedevano lentissime e fu
un miracolo se nessuna frizione si bruciò.
Zaina , quel giorno, meritò la vittoria. Sulle rampe del Ciocco tentò ripetutamente di liberarsi di Rodriguez che, particolarmente “azzeccoso”, non tirò un metro, restando incollato alla ruota del bresciano.
Insieme (Nella terra solitaria siamo in due, sempre in cammino) si presentarono all’arrivo e,
nonostante il disperato tentativo del piccolo colombiano, Zaina seppe resistere
e tagliò per primo il traguardo.
Dopo di loro arrivò un giovane trentino- Gilberto Simoni- che, su quelle salite , capì che prima o poi avrebbe potuto lottare per il primato in un grande Giro.
Quel giorno
molti avrebbero voluto vedere trionfare un altro uomo con la maglia della
Carrera: Zaina in qualche modo fece le sue veci regalando , come scrisse
qualcuno, “ momenti da Pantani.”
E –forse- anche nel 2000 Zaina avrebbe potuto
fare la sua corsa sul San Pellegrino.
Il quel
Giro, infatti, il San Pellegrino venne nuovamente inserito nel tracciato.
Era la dodicesima tappa , da Prato
all’Abetone. Tappa corta ,
Non passò
Fu il giorno
di Francesco Casagrande che, vincendo sulle strade di casa, accarezzò il sogno
rosa che mai, come quell’anno, sembro sul punto di realizzarsi. Scattò sulle
rampe del San Pellegrino, transitando da solo in vetta (
Ma fu
nuovamente, anche se in modo diverso, il giorno di Zaina.
Anche
quell’anno, infatti, il bresciano era
compagno di squadra di Pantani.
Marco aveva
deciso di correre il Giro d’Italia
appena un mese prima . La tappa dell’Abetone rappresentava per lui un vero e
proprio test.
Ma il San
Pellegrino , la salita che aveva provato pochi anni prima in una gelida
giornata invernale, quel giorno lo respinse.
Si staccò
dai migliori , circondato dai suoi compagni di squadra.
Garzelli
decise (o gli fu ordinato) di fare la sua corsa , riportandosi sul gruppetto
all’inseguimento di Casagrande, splendido
e solitario fuggitivo. Col senno di poi, fu una decisione giusta, almeno
sotto il profilo strategico : se Garzelli fosse rimasto con Pantani,
difficilmente avrebbe vinto il Giro d’Italia.
Anche
Zaina avrebbe voluto involarsi su quelle
rampe che lo avevano visto protagonista cinque anni prima.(“ Lascia che guardi dentro il mio cuore, lascia ch'io
viva del mio passato”).
Il San
Pellegrino lo esaltava e su quei tornanti ritrovava l’energia dei giorni
migliori, quelli che gli avevano permesso di salire sul podio del Giro del 96.
Non scattò il bresciano, e restò accanto a Marco, scortandolo sin sul
traguardo, dove arrivarono dopo quasi sette minuti.
Fu sacrificio per il suo capitano o
l’obbedienza agli ordini ricevuti dall’ammiraglia?
Si disse che Zaina, in realtà, avrebbe voluto involarsi perché si sentiva bene, ma Martinelli glielo impedì, ordinandogli di stare accanto a Marco. Alla sera pare che il bresciano fosse arrabbiatissimo e litigò furiosamente con Martinelli, decidendo di ritirarsi dal Giro (O stanco dolore, riposa!.)
Si disse che neppure Marco fu risparmiato dallo sfogo del suo compagno di squadra
In ogni caso, per Zaina non
fu una giornata semplice , ed è facile immaginare i sui sentimenti, quella sera.
Che avrebbe pensato Marco di lui? Proprio lui, che, a Madonna di Campiglio ,
aveva vissuto con Marco la giornata più
brutta della sua, anzi, della loro vita. Lasciò le corse, alla fine di
quell’anno.
L’abbraccio
che gli regalò Marco, al Giro del 2003, quando lo rivide sul traguardo della
tappa di Faenza ,valeva più di una vittoria.
Magari anche
più di quella ottenuta un giorno di Maggio, sulle rampe del San Pellegrino in
Alpe.
Mario Silvano
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