Gruppo di famiglia in un esterno: quella Ventimiglia-Genova del 1931
Alcuni anni orsono mia zia Etta mi regalò parecchie foto
della collezione del padre, Luigi Ferrando, protagonista di rilievo del ciclismo degli anni Trenta
Tra le tante, stupende immagini che raccontavano la vicenda sportiva di Luigìn ( campione italiano degli indipendenti nel 1930 , vincitore dell’allora Circuito dell’Appennino nel 1938 nonchè cinque volte campione assoluto di ciclocross), una mi colpì in modo particolare.
Scattata al termine di una corsa, raffigurava un nutrito
numero di atleti e di addetti ai lavori. Il riconoscimento dei ciclisti era facilitato
dal fatto che, in corrispondenza di ciascuno, Luigìn aveva scritto di suo pugno il nome ed il piazzamento.
Ferrando era proprio
al centro ( benchè risultasse secondo classificato). Alla sua sinistra Giacobbe (il vincitore), e Fossati (
ottavo). Alle spalle del giovane campione ligure spiccava la figura di Raffaele
Di Paco (undicesimo), e, accanto al plurivincitore toscano, c’erano Rinaldi, Tasselli e Lucchini.
Una foto di gruppo che era una sintesi della storia del
ciclismo eroico.
Già, ma di quale corsa si trattava ? Solo due le indicazioni,
anch’esse scritte a mano da Ferrando: la
data (8/3/1931) e il chilometraggio (KM 175).
Per parecchio tempo la domanda è rimasta senza risposta.
Poi, l’arcano è stato finalmente svelato.
In quel 1931, la Milano- Sanremo era prevista per il 22
Marzo.
Il settimanale genovese ” La Ruota” ebbe l’idea di organizzare una vera e propria prova generale della Classica di apertura del calendario ciclistico. Fu così che nacque la Ventimiglia- Genova , che si sarebbe disputata due settimane prima : partenza dalla città di confine e arrivo nel capoluogo, sul velodromo del campo sportivo della Nafta. L’iniziativa suscitò un vivo interesse sulla stampa dell’epoca. Non ci sarebbero stati ne Binda, nè Guerra e neppure Girardengo ( nonostante si fosse iscritto) ma il campo dei partenti era di assoluto rilievo. Camusso, Di Paco, Martano, Bovet, Giacobbe, Canavesi si sarebbero presentati ai nastri di partenza. Il percorso, ,che si sviluppava interamente lungo la Via Aurelia, non presentava particolari asperità, se non le salite della Sanremo, percorse stavolta in senso contrario.
Neppure il chilometraggio era eccesivo, e questo
rendeva particolarmente difficile il pronostico di una corsa che si preannunciava
veloce , con quell’insidia proprio nel finale , quella
rampa per raggiungere il
velodromo, che avrebbe potuto favorire proprio Lugi Ferrando, il giovanissimo
campione italiano degli Indipendenti , che conosceva come nessun altro il tracciato di gara.
Partono alle 10 i cinquanta corridori - tra professionisti e indipendenti- e sono graziati dalla pioggia, che da giorni cadeva incessante sul Ponente ligure. Sino a Sanremo l’ Aurelia è asfaltata, ma dopo la Città dei Fiori i concorrenti devono fare i conti con ghiaia e pozzanghere. Martano transita per primo sul Capo Berta, e Camusso lo imita sul Capo Cervo, ma la corsa, caratterizzata da numerose forature , cadute e incidenti meccanici, prosegue senza particolari emozioni sino alla Colletta di Arenzano. Ferrando sente aria di casa e scatta sulla breve salita : transita da solo in vetta , seguito da Camusso, Balmamion ( lo zio del futuro vincitore di due Giri d’Italia) e Marin. Giacobbe e Canavesi pagano una trentina di metri, mentre gli altri seguono a maggiore distanza.
A Voltri si
assiste ad un ricongiungimento generale e , proprio all’estrema periferia della
Grande Genova, comincia un’altra corsa. Le pessime condizioni delle strade e le rotaie del tram costringono i corridori a vere e proprie
acrobazie e le emozioni aumentano. Ferrando, Camusso e Balmamion scattano a più
riprese e guadagnano un lieve margine sul gruppo, altri perdono contatto; altri
ancora, come Di Paco, sono vittima di cadute. C’è tantissima gente sul percorso.
I corridori passano davanti al Porto, superano
Palazzo San Giorgio, e , dopo la breve salita di circonvallazione a mare,
imboccano Corso Italia. Mancano ormai pochi chilometri alla conclusione e cresce
la tensione. Dopo Boccadasse ancora un breve dislivello da superare e ,
arrivati a Sturla, inizia la rampa verso
l’arrivo.
I tifosi genovesi aspettano Ferrando ma è Giacobbe a scattare sulla salita verso la collina di San Martino. Il suo è uno scatto deciso: guadagna dieci metri su Ferrando, Canavesi , Zucchini e Morelli. Insiste nello sforzo e riesce addirittura a guadagnare terreno. Ormai è fatta: entra tutto solo sulla pista e, pochi secondi dopo, ecco Ferrando, che ha distanziato gli altri. L’atleta della Maino percorre un giro e mezzo e alza le braccia al cielo: Ferrando arriva a cinque secondi, Canavesi completa il podio battendo in volata Zucchini, Balmamion e Morelli.
Poi, la foto, quella foto. Al Campo della Nafta.
Per lo più sorridenti
e infangati, i corridori sembrano un gruppo di amici che sono reduci da una
corsa amatoriale.
Sorride , Ferrando, nonostante la sconfitta. Non ha neppure
vent’anni e indossa la maglia di
campione italiano degli Indipendenti. Ancora un secondo posto in una corsa di un giorno, come l’anno prima
alla Tre Valli Varesine, quando era stato battuto da Albino Binda.
Sorride al suo fianco Giacobbe, il vincitore di giornata, Lui, che nel 1930 aveva concluso al secondo posto il Giro d’Italia, la Tre Valli se la aggiudicherà un mese dopo .E quella vittoria genovese gli porterà bene , perché nel Giro di quell’anno avrebbe vinto la Genova- Cuneo, conquistando anche la maglia rosa
Sorride Raffaele Di Paco: il suo è un sorriso abbozzato , ma il fascinoso toscano forse già intuisce che quello sarà l’anno della sua consacrazione , con ben cinque vittorie di tappa al Tour de France
Sorride Tasselli , campione olimpico in carica nell’inseguimento a squadre
.
Fossati, invece , pare corrucciato. Nel suo carniere ha una Coppa Placci e un
Lombardia, ma sembra presagire il suo tragico destino: morirà nel 1945, sotto
un bombardamento.
Così come Zucchini, che scomparirà tragicamente nel 1950,
per i postumi di un incidente in moto.
Poi c’è Angelo Rinaldi, gregario di Girardengo e di Guerra , alessandrino nativo di Basaluzzo che visse sempre a Silvano d’Orba, il paese vicino a Ovada dove anche Luigi Ferrando aveva una casa , nella quale custodiva una buona parte del suo baule dei ricordi.
Forse c’era anche quella foto della Ventimiglia-
Genova, e chissà quante ne volte ne avrà
parlato con Rinaldi, indicando Di Paco e Giacobbe e ricordandogli che quel giorno ci aveva
provato sulla Colletta e che confidava
di vincere, in quella domenica di inizio marzo del 1931. O, forse, sperava di
cogliere il successo l’anno successivo.
Ma non ci sarebbe stata un’altra occasione. La Ventimiglia-
Genova, infatti, non si sarebbe mai più disputata.
Di quella corsa resta solo una foto vecchia di novant’anni .
Un ricordo prezioso ed unico, che meriterebbe di fare bella mostra di sè in un Museo del Ciclismo.
E chissà che prima o poi, a Novi Ligure o al Ghisallo, non venga esposta, per la gioia degli appassionati del ciclismo che fu.
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