Quell'aria di primavera: Merckx, Motta e la Sanremo del 1967

 



Un tempo il 19 marzo era giorno di festa.
E lo fu sino al 1977, anno in cui si decise di sopprimere alcune festività ritenendo che in tal modo si sarebbe incrementata la produttività delle imprese. Di quella della pubblica amministrazione non si discuteva, perché Brunetta non era ancora comparso sulla scena politica.
Poi, in barba ai proclami e per risarcire i lavoratori di quello scippo, vennero inventate le festività soppresse: a San Giuseppe si sarebbe lavorato, ma il giorno incautamente sottratto al riposo sarebbe stato recuperato.
I conti tornavano, dunque, ma non era la stessa cosa.
Perché le feste si caratterizzano per qualche evento e anche quella di San Giuseppe non faceva eccezione.
In quelli che sarebbero stati chiamati "i Sixties" c'erano la Milano-Sanremo e lo Zecchino d'oro. Due appuntamenti irrinunciabili con due dirette televisive una dietro l'altra.
E capitava che Mago Zurlì, il conduttore del concorso canoro per bambini, facesse spesso riferimenti alla gara ciclistica appena conclusa, coinvolgendo i piccoli protagonisti.




Come nel '65, quando l'ennesimo straniero (fu Den Hartog, quella volta) ci impedì di gioire.
Alcune canzoni di quel periodo, poi, sembravano scritte per la Sanremo.
C
e n'era una, proprio quell'anno ("Dagli una spinta", famosissima) il cui significato era palese, agli occhi degli appassionati.
I nostri avevano davvero bisogno di una spinta (sul Berta o sul Poggio) per cogliere quel successo che mancava dal '53. Lo stesso Mago Zurlì non potè esimersi di accostare quella canzone (che, in verità, parlava di un'automobile che non ne voleva sapere di mettersi in moto) durante la rituale intervista all'interprete di quel motivo.
Che, a ben pensarci, poteva anche essere interpretato in modo malevolo: bisognava darla davvero una spinta, ma per mandare fuori strada lo straniero di turno!
Qualcuno (magari un irriducibile nazionalista privo di bon ton) ci avrà senz'altro pensato e una battutina in tal senso sarà sfuggita a qualche commentatore dell'epoca.



E anche l'anno successivo c'era una canzone il cui autore un pensierino alla Classicissima doveva averlo fatto: "Se osassi", si intitolava. Un invito rivolto ai nostri a tentare di inventarsi qualcosa, una sorta di editio minor del motto dannunziano “ memento audere semper”.
E il messaggio sembrava essere stato recepito, tant'è che in quella appassionante volata Durante e Dancelli sfiorarono il successo che arrise ad un giovane belga, all'esordio sulle strade della Riviera.
Uno dei tanti velocisti fiamminghi, si disse, destinato ad allungare la serie della legione straniera.




Neppure il Mago Zurlì, con la sua bacchetta magica, sarebbe riuscito a spezzare l'incantesimo.
Che se fosse dipeso da lui ci sarebbe anche riuscito (forse), ma quel guastafeste di Richetto (la sua spalla comica che, a rivederlo oggi, assomiglia un po' a Sgarbozza) evidentemente portava male.


                                                                            


Ogni speranza era rimandata fatalmente all'anno successivo: il giorno di San Giuseppe, giorno più o giorno meno.
Perché - detto per inciso - fino al 1929 la Sanremo non si era mica corsa il 19 marzo. E anche negli anni a venire ci sarebbero state deroghe a quello che, da un certo punto in avanti, sembrava un evento da segnare sul calendario.
Nel '66 non si era rispettato l'appuntamento per lasciare spazio alla Nazionale di calcio, impegnata nel confronto amichevole con la Francia (un pareggio in bianco, sarebbe stato), in vista dei Mondiali d'Inghilterra.
E neppure l'anno successivo la data fatidica sarebbe stata rispettata perché la corsa si sarebbe disputata il 18 marzo. Ma erano dettagli a cui non ci si faceva neppure caso, perché comunque la Classicissima era e restava la corsa di San Giuseppe.
Sarebbe stata quella la volta buona o c'era il rischio che i nostri fossero accolti in Via Roma da un nutrito lancio di pomodori, giusto per rispettare la par condicio con i colleghi del pallone?


                                                                                


Non tirava aria buona, a Sanremo, quell'anno.
Di solito la Classicissima era la conclusione di un periodo in cui la città matuziana la faceva da protagonista.
Il Festival della canzone prima e il corso fiorito poi erano le due manifestazioni che preparavano il terreno alla corsa più bella del mondo. In tre mesi la città rivierasca era la capitale della musica, dei fiori e del ciclismo (per non dire dello sport).
Ma erano ancora troppo vivi gli echi di quel colpo di pistola – che in verità non aveva sentito nessuno - all'Hotel Savoy: Luigi Tenco era morto (ufficialmente suicidato, ma i dubbi erano tanti) perché la sua canzone era stata esclusa dalla finale.
Non c'era, insomma, il solito clima di festa, nei dintorni del Casinò. E anche se Lelio Luttazzi aveva appena inventato "Hit Parade", la musica leggera cedeva il passo alle notizie che arrivavano dal Vietnam e dalle prime occupazioni delle Università.


                                                                   


Merckx ci sarebbe stato, e le vittorie ottenute al Giro di Sardegna e alla Parigi-Nizza (quattro successi equamente distribuititi tra le due corse d'apertura) lasciavano presagire, agli osservatori più avveduti, che quella vittoria colta l'anno precedente potesse anche essere confermata.
Sempreché, beninteso, la pattuglia azzurra gliel'avesse concesso.
Perchè la nidiata dei nostri campioni era agguerrita, e c'era un uomo per ogni soluzione. Dancelli e Durante già l'anno prima avevano dimostrato di sapersi battere con i migliori in volata.
Michele, poi, aveva vinto a Reggio Calabria, ed era in palla. Come Bitossi, d'altronde, fresco vincitore in quel di Laigueglia e capace di aggiudicarsi anche la Tirreno-Adriatico.
E Motta allora? Dopo la vittoria ottenuta alla Sei Giorni meneghina, aveva fatto sua la Milano-Torino ed era tirato a lucido.
Gimondi, invece, si era avvicinato alla Classicissima in modo più soft, ma potevano fargli paura i tre Capi, lui che aveva trionfato sul pavè della Roubaix l'anno precedente?




Mai come quella volta, dunque, i nostri erano intenzionati a rompere il digiuno. Non erano affatto un'Armata Brancaleone: semmai potevano definirsi i "giovani leoni", giusto per restare in tema di paragoni cinematografici dell'epoca.
Il tema della vigilia è dunque scontato: italiani intenzionati più che mai a piantare il tricolore sul traguardo di Via Roma. Contro Merckx, contro tutti.

                                                                     



Come ogni Sanremo che si rispetti, parte una fuga subito dopo la partenza, in una Milano inondata di sole.
Nel gruppetto di volenterosi c'è un compagno di squadra di Merckx, ma non è un gregario qualunque. Quell'uomo in maglia Peugeot è Tommy Simpson: l'ex campione del mondo, il vincitore della Sanremo di tre anni prima, fresco del successo alla Parigi-Nizza, sta provando la fuga della vita o si sta sacrificando per il giovane belga?
La fuga dei cinque (con il britannico ci sono anche il connazionale Denson, lo svizzero Da Rugna, Lelangue e il "nostro" Carmine Preziosi) non sembra un tentativo velleitario: a Voghera hanno due minuti e mezzo sul gruppo, quasi sei a Ovada. Sul Turchino cede Lelangue (che, in verità, non aveva mai collaborato) e c'è chi comincia a preoccuparsi, iniziando l'inseguimento sin dalla Valle Stura.
Simpson non è un carneade e vuoi vedere che i suoi proclami della vigilia non sono del tutto velleitari?
Non deve certo preoccuparsi Eddy, che sta alla finestra pronto – se necessario - a rispondere in prima battuta. Lo aveva dichiarato alla vigilia: «Simpson ed io ci aiuteremo, cosi potremo vincere o io o lui».
Nel frattempo sono gli altri che devono impegnarsi ad annullare la fuga, che prosegue sulle strade della Riviera, coperta da una nuvolaglia grigia.

                                                                      




Tra Voltri e Savona i fuggitivi perdono due minuti e a Pietra Ligure vengono ripresi. Ci prova ancora Da Rugna, elvetico con sangue moresco nelle vene, ma ad Albenga deve arrendersi.
La Sanremo, quella vera, comincia.
Dancelli è il primo a scattare, nonostante un occhio nero ed uno zigomo gonfio per una caduta rimediata al Giro del Piemonte, poi Zilioli ci prova sul Capo Mele.
Ma è sul Berta che la corsa si infiamma. Merckx rompe gli indugi e scatta, seguito da Poulidor, da Motta e da Vittorio Adorni. Il forcing del belga ha scremato il gruppo e all'ingresso di Imperia, in fondo alla discesa, sono rimasti in ventisei.
Troppi, per Eddy, che a Porto Maurizio – quando mancano poco più di venti chilometri al traguardo - scatta ancora, tentando l'impresa solitaria. Il belga, però, non ha fatto i conti con Gianni Motta, il quale è l'unico a rispondere all'attacco del fiammingo: lo agguanta e non lo molla.

                                                            


                                                                         

Se ne sono viste, di fughe a due, nella storia del ciclismo, ma le immagini di quella coppia lanciata verso Sanremo è destinata a restare per sempre nella memoria.
Vanno come treni, e il vantaggio aumenta sino a raggiungere il mezzo minuto. Sembra di essere al Baracchi, una crono a coppie che fa alzare la media in modo vertiginoso.
E non è che dietro stiano fermi. È uno spettacolo, con Gianni che tira anche più di Eddy.
L'Italia del pedale – ma non solo quella - è incollata ai teleschermi.
Può essere la volta buona, per noi, anche se qualcuno impreca: «Non tirare troppo, che poi ti batte in volata!».



                                                                     

Vai Gianni, vai! Ci fa sognare il biondino: allora è proprio vero che lassù qualcuno lo ama, come si scrisse all'indomani della sua splendida vittoria al Giro.
Vai Gianni, vai! Hai vinto il Giro, hai vinto il Lombardia. Se aggiungi la Sanremo (e che Sanremo!) diventi il numero uno, altro che Gimondi!

In Via Roma l'entusiasmo è alle stelle e gli spettatori dimenticano di avere dovuto sborsare cinquecento lire per essere presenti sul rettilineo finale. Se quello è il pedaggio da pagare per assistere al successo di un corridore nostrano, ci può anche stare una gabella: ci penserà il Pretore a decidere sulla legittimità di quella imposizione!


                                                                       


Sul Poggio Merckx è scatenato, vuole togliersi dalla ruota il biondino della Molteni. Aggredisce i tornanti con una tale foga che rischia l'incidente con una moto del seguito. Gianni, caparbio, non molla la presa. E dietro sono una muta di cani rabbiosi.
Scollinano in solitudine i due fuggitivi, ma il vantaggio è diminuito: erano 15 secondi ai piedi del Poggio e in cima sono ancora meno.

Anche Adorni ci prova: è stato il Rosa più bello dopo quello di Coppi, perché non potrebbe essere lui l'italiano? La fortuna non lo assiste: in discesa rompe tre raggi ed è costretto a desistere.
Bitossi e Gimondi, invece, limano le curve e, a meno di un chilometro dal traguardo, raggiungono i fuggitivi.


                                                                          


Un poker d'assi – chi l'avrebbe detto! - è lanciato verso il traguardo, con tre azzurri che potrebbero mettere in difficoltà il belga, ma qui non siamo al Mondiale.
Motta è stato grandissimo: meriterebbe di vincere, al termine del duello con Merckx.
Ci crede, Gianni, ma quei due guastafeste potrebbero scombinargli i piani.
Si presentano in quattro in Via Roma (e il gruppo li rincorre a una manciata di secondi), ma per De Zan sono solo in due: i monitor sul palco sono saltati per un banale disguido tecnico, e sembra che ci siano solo Motta e Merckx a disputarsi il successo.

                                                                     

                                                                          


                                                                  

Gimondi lancia lo spint ai 400 metri, ma non ha la forza per continuare.
Eddy scatta ai trecento finali sulla destra, e per un attimo sembra che Gianni (benché "disturbato" da Bitossi) possa rimontarlo.
Attinge a tutte le energie che gli sono rimaste, ma non ce la fa.
Prima di tagliare il traguardo addirittura accenna a voltarsi, quasi per assicurarsi che non venga beffato dagli altri due.

                         



Il belga fa il bis, ma è stata la Sanremo di Motta. È deluso Gianni, ha gli occhi umidi. Con un rettilineo più lungo e una volata a due chissà se le cose sarebbero andate diversamente!
Avrebbe preferito arrivare ultimo – lo dice convinto - piuttosto che accontentarsi del posto d'onore, e non gli basterà battere il belga l'indomani, sul circuito di Ospedaletti: una vittoria che sa di beffa.

                          


Sarebbe stata, quella del '67, una delle Sanremo più emozionanti e veloci di sempre, disputata ad una media record, destinata a resistere per quasi un quarto di secolo.
Ancora oggi, a distanza di oltre cinquant'anni, le statistiche ci dicono che solo nel 1990 , nel 2006  e nel 2021 ( e anche  nel 2013, ma quella  fu un'edizione "accorciata" causa maltempo) si andò più forte di quel 18 marzo e un finale simile (con quattro campioni di prim'ordine insieme sul traguardo) non lo si era mai visto prima e non lo si sarebbe neppure visto negli anni a venire.


                                                                           


   

                                                                       

Per noi fu l'edizione che ci fece innamorare della Classicissima - fughe, rimonte, volata al cardiopalmo e caduta del gruppo: cosa potevamo volere di più? - e la delusione per il successo sfumato da parte dei "nostri" non fu neppure affievolita dall'ascolto delle canzoni dello Zecchino d'Oro, che si era svolto all'inizio di marzo, contrariamente alla tradizione.
E chissà che quella volta il Mago Zurlì (alias Cino Tortorella), libero da impegni, non abbia assistito dal vivo alla corsa - magari sul Berta, lui che era di Imperia - nel tentativo di infrangere il maleficio!
Non ci riuscì, ce ne accorgemmo.
Ma quella Sanremo, ai nostri occhi, fu comunque ricca di magìa.


Mario Silvano


 

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