1965: Grand'Italia nelle Ardenne!

                                                                            


 

Quando il ciclismo non era globalizzato, le classiche della Vallonia sembravano appartenere – per noi italiani – ad un’altra dimensione.
Le vittorie di Camellini e di Coppi alla Freccia Vallone costituivano , sino alla metà degli anni ‘60, gli unici successi azzurri nel weekend delle Ardenne.
E mentre alla Freccia si erano registrati piazzamenti sul podio dello stesso Fausto e di Gino Bartali, nella Liegi – la più antica classica del ciclismo belga- il bilancio era desolatamente negativo.
Solo Vittorio Adorni, nel ‘63 e nel ‘64, aveva colto due piazzamenti di rilievo, ma non era riuscito a spezzare l’incantesimo.

Nel 1965, invece, due squadre italiane (la Salvarani di Pezzi e la Ignis di Baldini) tentano l’avventura del Nord, nella consapevolezza che quelle corse si addicono alle caratteristiche dei ciclisti nostrani e che, comunque, correre su quelle strade fa bene.
Se si vuole che gli italiani imparino a correre”, dice Baldini,” è necessario andare all’estero”.
E’ quasi una nazionale (nel numero dei partecipanti, se non nella qualità), quella che spicca il volo per il Belgio.
Accanto ai due quintetti dei marchi nostrani ( Adorni, Gimondi, Babini, Partesotti e Minieri per la Salvarani; Durante, Cribiori, Vigna, Poggiali e Macchi per la Ignis), si aggiunge Carmine Preziosi, un italiano emigrato in Belgio che ha conservato la cittadinanza del paese d’origine.
C’è attesa e curiosità per la sparuta pattuglia azzurra, che va a confrontarsi con l’agguerrita concorrenza: mancheranno Van Looy e Sels, grandi cacciatori di classiche, ma il lotto dei partecipanti sarà ugualmente qualificato.


                                                                             


Giovedì 29 aprile si corre la Freccia Vallone: 214 chilometri con 13 salite e arrivo a Marcinelle. Mette i brividi quella località: è ancora ben vivo il ricordo della catastrofe, avvenuta in miniera nove anni prima, nella quale persero la vita 262 uomini, di cui 136 italiani.
E’ un ricordo che emoziona e che non può lasciare indifferenti i nostri ragazzi.
C’è anche una certa tensione nei giorni che precedono la gara: le autorità belghe hanno proclamato la lotta al doping e si temono blitz alla partenza, come è successo al Fiandre dove i poliziotti hanno spezzato panini, svuotato borracce, messo sottosopra automobili alla ricerca di sostanze considerate nocive.
Adriano Durante, ruota veloce, non si impressiona : lui va a panini e bistecche e il problema non lo sfiora.


                                                                              


Partono in 115, in una giornata caratterizzata – ma non è una novità – dal maltempo: freddo, pioggia e vento accompagnano i corridori sulle còtes della corsa, rendendo la fatica ancora più dura.
Al secondo muro molti scendono dalla bici mentre Simpson, vivacissimo, allunga in compagnia di Partesotti. I nostri si difendono bene, per nulla spaventati dalla concorrenza.
Poi, a un’ottantina di chilometri dal traguardo, scatta Gimondi: lo raggiungono, dopo poco, Poggiali e – ancora lui!- Tommy Simpson.
E’ la fuga buona, con i due ragazzi italiani a farsi carico dell’iniziativa perché il britannico, a un certo punto, smette di collaborare, pensando ad un ritorno dei suoi compagni Vanconingsloo e Bracke.
Ma il treno azzurro viaggia troppo forte, e gli avversari rinunciano ad inseguire. Dietro, infatti, Adorni blocca le velleitarie iniziative dei fiamminghi. A quel punto anche Simpson collabora e i tre si involano verso Marcinelle.
Quando mancano due chilometri al traguardo Poggiali scatta. Gimondi resta incollato alla ruota del britannico marcandolo stretto e, quando l’inglese non ne ha più, riparte a sua volta, agguantando Poggiali ai novecento metri finali.

                              



Mai successo: due italiani a giocarsi la vittoria nella Freccia!
E’ Gimondi che sembra avere la vittoria in tasca ma Poggiali – che resta a ruota fingendosi stanco – agli ultimi duecento metri dapprima lo affianca e poi lo supera, aggiudicandosi la prestigiosa classica.
Per il toscano (24 anni compiuti da pochi giorni, già campione italiano dilettanti e collezionista di piazzamenti nei primi anni di professionismo) è la prima vittoria nella categoria maggiore, una vittoria che vale la carriera.


                                                                          



E pensare che durante la gara stava quasi per ritirarsi a causa del gran freddo: è stato Jacques Anquetil a incoraggiarlo, dicendogli che bisognava soffrire e insistere, se uno voleva fare il corridore.
Ma ha anche un significato più profondo, quel trionfo azzurro: i nostri emigrati – in particolare quelli che avevano assistito al trionfo di Fausto nel ‘50 – piangono di gioia. 
                         

      
                                
Sono inorgogliti dal successo di Poggiali , erano dodici anni (dalla vittoria di Loretto Petrucci alla Parigi- Bruxelles) che aspettavano questo giorno.
L’indomani sarebbero scesi in miniera animati da un entusiasmo nuovo, perché avrebbero parlato dei nostri ciclisti senza vergognarsi, proprio come ai tempi di Coppi, di Bartali e di Magni.

                                



Il trionfo dei giovani leoni azzurri fa notizia (più del debutto nel professionismo di un giovane fiammingo, Eddy Merckx, iridato dei dilettanti l’anno prima) e i nostri, galvanizzati, si preparano a dar battaglia sulle strade della Doyenne: viste le premesse, potrebbe essere la volta buona.
Sono 245 i chilometri, con 12 salite e arrivo sulla pista di Roucourt, la stessa che due anni prima ha visto l’affermazione mondiale di Sante Gaiardoni su Maspes.
Ovviamente piove,come da copione, ma almeno non fa freddo.
La corsa è caratterizzata dalla fuga di tre comprimari ma al km 190, sulla sesta salita, si forma un gruppo di trenta corridori: oltre all’iridato Janssen ci sono – tra gli altri – Simpson, De Roo, Stablinski e, ancora una volta, les italiens.
Gimondi, che non ha digerito la delusione di tre giorni prima, cerca di involarsi , ma Simpson lo riprende cercando ,senza successo, la soluzione solitaria.
Verso Liegi smette di piovere: si formano due gruppetti che si ricongiungono all’ingresso della capitale della Vallonia.
Sulla pista di Roucourt si presentano in undici: due italiani (Adorni e Preziosi) oltre a Van Den Bossche, Cooreman, Wright, Knops, Bocklandt, Huysmans, Janssen, Simpson e Vanconingsloo.
Anche altri azzurri potevano essere della partita, ma Durante è stato vittima di crampi, mentre Gimondi e Poggiali, protagonisti fino a venti chilometri dalla conclusione, hanno risentito nel finale del grande sforzo compiuto tre giorni prima.

                              


La pista è sdrucciolevole e, per non correre rischi, Adorni entra in testa.
A metà della penultima curva Jan Janssen, nell’intento di recuperare posizioni, gira al largo ma scivola e cade sul cemento, coinvolgendo altri sei corridori .
Adorni e Van Den Bossche sono leggermente avvantaggiati su Preziosi e Wright che – scampati alla caduta – recuperano sul rettilineo di fronte alle tribune.
Restano in quattro a disputarsi la vittoria.
Van Den Bossche sull’ultima curva tenta di uscire all’esterno ma Vittorio rintuzza l’attacco.
Sembra che per Adorni sia la volta buona ma all’uscita dell’ultima curva succede il fattaccio. Preziosi , che è in rimonta, stacca la mano dal manubrio e l’appoggia sul fianco (o sulla coscia?) dell’avversario. Adorni sbanda, si spaventa perchè teme di cadere e quasi smette di pedalare, mentre Preziosi taglia il traguardo.
I belgi sono allibiti: due italiani ai primi due posti anche a Liegi! E poi Preziosi l’hanno allevato – ciclisticamente s’intende – proprio loro.

                                                                               



Ma chi è Carmine Preziosi?
E’ un irpino di Sant’Angelo all’Esca, classe 1943, che all’età di sei anni si è trasferito con la famiglia in Belgio. Il padre è minatore e lui stesso ha lavorato sino all’anno prima in una fabbrica per aiutare la famiglia.
Emulo di Pino Cerami è cresciuto alla scuola ciclistica belga , imponendosi come velocista di vaglia e sperando, considerato che ha mantenuto la cittadinanza italiana, in una convocazione nella nazionale azzurra che, purtroppo, non è mai arrivata.
Eppure non è un carneade: ha vinto molto tra i dilettanti e ha cominciato la stagione alla grande, cogliendo il successo nella Genova- Nizza e, due giorni prima della Freccia, nella Bruxelles- Verviers: senza contare che l’anno prima si è piazzato alle spalle di Gianni Motta al Giro di Lombardia.
                                


In Italia, tuttavia, è certamente meno conosciuto di Salvatore Adamo, suo coetaneo con lo stesso destino di emigrante , che ha scelto la musica per farsi strada nella vita.
Preziosi (che d’inverno mangiava noccioline, per risparmiare!) l’ha voluta, questa vittoria, per sé stesso e per i nostri connazionali , ma Adorni non ci sta: è convinto di essere stato danneggiato
( “Preziosi” dice, “ mi ha agganciato prendendo la spinta”) e presenta ricorso.                                                                          



Di fronte alla giuria Carmine riconosce di avere toccato i calzoncini del parmense, ma giura di averlo fatto per non cadere addosso al connazionale che si era leggermente spostato: nelle interviste del dopo corsa aveva ammesso, invece, di averlo allontanato con il gomito. Adorni, che dopo l’arrivo ha le lacrime ha occhi, riconosce che Preziosi non ha preso una grossa spinta, ma l’ha comunque danneggiato.
Spinta, aggancio o semplice appoggio? Ci sono tutti gli elementi di un vero e proprio giallo, la cui soluzione dovrebbe essere affidata – per competenza territoriale – al grande Hercule Poirot.
La giuria emette un verdetto pilatesco: riconosce la responsabilità di Preziosi, lo multa, ma non gli toglie il successo.
Luciano Pezzi, che sa come vanno le cose, rincuora Adorni :” Che ci vuoi fare, Vittorio! Era una faccenda tra italiani”, commenta il d.s. della Bianchi.

                                                                           

 

Il finale thriller della Liegi non scalfisce, comunque, lo straordinario bilancio della spedizione azzurra.
Due doppiette in pochi giorni: è stato un successo, al quale ha contribuito un connazionale che vive sì in Belgio, ma che si sente italiano al 100%.
E che sia stato un trionfo lo dice pure la classifica della “Combinata delle Ardenne “, vinta proprio da Preziosi (che si era piazzato sesto alla Freccia), con il secondo posto di Poggiali ed il quarto, a pari merito, di Gimondi e Adorni per i quali l’appuntamento con la gloria è solo rimandato.
Ma anche gli italiani che hanno preferito non confrontarsi sulle strade del Nord hanno avuto ragione: Bitossi si aggiudica il Campionato di Zurigo e Dino Zandegù il nostrano Giro di Romagna.

Sì, fu proprio Grand’Italia in quella primavera del ’65!

Mario Silvano

(www.ilciclismo.it  2008)

 

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