Liegi 1982, il "blitz" di Contini : Silvano me lo raccontò così.
Nella seconda metà degli anni ‘70 i pomeriggi televisivi domenicali erano caratterizzati da due programmi-contenitore che si dividevano l’audience sulle due reti Rai allora esistenti.
Aveva cominciato Renzo Arbore nella primavera del 1976 con “L’altra domenica”, trasmessa sulla Rete 2 (l’odierna Rai 2); e la prima rete, nell’autunno dello stesso anno, aveva risposto con “Domenica in”, allora condotta da Corrado.
Noi, ragazzi degli anni settanta, seguivamo il programma dello showman pugliese, innovativo, divertente e scapigliato, al cui interno venivano trasmesse le dirette dei più importanti avvenimenti sportivi.
Durò fino al ‘79 quella trasmissione e, due anni dopo, il testimone venne preso da Gianni Minà il quale legò il suo nome alla conduzione di “Blitz”, un programma che, mescolando spettacolo e sport, si caratterizzava per puntate monotematiche, con interviste a personaggi famosi, com’era nello stile di quel giornalista.
Ricordo che una volta si collegò con il set di “C’era una volta in America”, intervistando Sergio Leone e Robert De Niro.
Nelle domeniche di Aprile era grande l’attesa per il collegamento in diretta con le classiche del Nord e i primi due successi di Moser alla Parigi – Roubaix vennero celebrati proprio nell’ambito della trasmissione di Arbore.
Domenica 11 aprile 1982, giorno di Pasqua, era in programma la Liegi-Bastogne-Liegi. Non la vincevamo da diciassette anni quella corsa e le nostre speranze – assente Moser – erano affidate a Saronni, a Visentini e a Contini.
Gianni Minà, quel pomeriggio, si collegò dal circo Orfei, una location inedita e suggestiva.
Non ricordo, in verità, se durante la trasmissione – tra un’ intervista a Nando Orfei ed una a Federico Fellini – venne aperta una finestra sulla corsa. Ricordo, però, che mi stupii non poco che non venisse ceduta la linea a De Zan per le fasi finali.
Improvvisamente, però, Minà annunciò: “Linea a De Zan!” e sullo schermo apparvero le immagini del traguardo, con un corridore che alzava le braccia al cielo sotto lo striscione e l’urlo di Adriano “ Contini!!!!!”, proprio mentre il nostro connazionale tagliava vittorioso la linea d’arrivo della Doyenne.
Poco dopo, fine della diretta e ritorno al circo Orfei: la telecronaca più breve nella storia delle televisione italiana!
Di quella Liegi, di quello che non vedemmo alla televisione, ne abbiamo parlato proprio con Silvano Contini, indimenticato protagonista del grande ciclismo per oltre un decennio (dal 1978 al 1990), che con straordinaria disponibilità ha aperto il baule dei ricordi.
“Avevo partecipato all’edizione del 1980 in una giornata da tregenda. Nonostante fosse il mio esordio alla Doyenne restai con Hinault sino ad una quindicina di chilometri dal traguardo, poi fui vittima di una crisi di fame. Riuscii comunque a concludere la corsa quel giorno e a classificarmi al dodicesimo posto. Arrivammo in pochissimi, al traguardo: 21 corridori su 174 partiti”.
Silvano Contini è un vero gentiluomo: aveva un sorriso accattivante quando correva e, a sentirlo parlare, è facile immaginare che stia sorridendo anche dall’altro capo del telefono, mentre ci racconta di quella trasferta sulle strade del Nord, nella primavera dell’82.
“Quell’anno partecipai alla Gand-Wevelgem, arrivando nei primi dieci. Poi ci fu la vittoria alla Liegi e la settimana successiva presi il via anche alla Parigi – Roubaix. Fui particolarmente sfortunato, in quell’occasione: ero con Moser e De Vlaeminck ma forai due volte e dovetti abbandonare i sogni di gloria”.
Ritorniamo a quella Liegi, Silvano. Com’erano le condizioni atmosferiche? Perché tu, con il brutto tempo, andavi bene.
“Si, il brutto tempo mi esaltava. Quel giorno faceva freddo e non mancò, oltre alla pioggia, neppure la grandine a farci compagnia!”
Le cronache raccontano di una lunga fuga di due comprimari, mentre si registravano i ritiri di Hinault, Raas, Saronni, Knetemann, Maertens, Panizza e Visentini. Poi, ad una quarantina di chilometri dall’arrivo, si formò una pattuglia di undici corridori: Contini , Prim, De Wolf, Criquielion, Grezet, Roche, De Vlaeminick, Van der Velde e Willems. Quale fu il momento decisivo della corsa?
“Eravamo sulla Redoute quando Criquielion accese le ostilità. Allo scatto del belga rispondemmo in tre: io, lo svizzero Mutter e Fons De Wolf, con il quale avevo un conto aperto”
Cos’era successo tra te e il belga?
“Alla Sanremo del 1981 De Wolf scattò sul Poggio. Io non mi feci sorprendere e cercai di prendergli la ruota. Ero a non più di dieci metri da lui, sul falsopiano, e sono convinto che l’avrei certamente raggiunto se non ci fosse stata di mezzo una moto belga. De Wolf ne sfruttò la scia e per me non ci fu nulla fare. Andò a vincere quella Sanremo, ma quella vicenda mi bruciava ancora”
Un motivo in più. dunque, per pareggiare il conto. Ci fu collaborazione tra i quattro attaccanti?
“Direi di si. Io avevo collaborato sino a sette-otto chilometri dal traguardo, poi mi risparmiai per la volata” .
Vi presentaste in quattro sul rettilineo finale. Tu fosti guardingo e furbo allo stesso tempo. Prendesti la ruota di De Wolf e lo passasti a pochi metri dalla linea d’arrivo. Pensavi di farcela? Non temevi per i crampi?
“No, mi sentivo bene ed ero fiducioso. Anche perchè nelle volate ristrette, di tre o quattro corridori, mi sentivo a mio agio, sapevo amministrarmi bene in quelle situazioni di gara non mi mancava lo spunto veloce. Ricordo che una volta, al Trofeo Matteotti, riuscii a battere pure un velocista come Gavazzi”
E quel giorno, a Liegi, mettesti la tua ruota davanti a quella di De Wolf. Grande vittoria e grande considerazione per te: Hinault, nei giorni successivi, ti avrebbe indicato come l’avversario più ostico per il Giro d’Italia che sarebbe partito da lì a poco.
“Con Hinault c’è stata amicizia, che dura tuttora. Era un grande campione che sapeva farsi benvolere, non voleva vincere tutto lui. Cercava amicizie nel gruppo. Al Lombardia del 1979 io sono stato alla sua ruota negli ultimi venti chilometri. Poteva staccarmi con un niente, invece avevo collaborato in precedenza e sono stato graziato. E così arrivai secondo”
A Liegi c’era anche Tommy Prim, tuo compagno di squadra, che regolò in volata il gruppetto dei battuti.
“Con Prim ho sempre avuto un ottimo rapporto, che conservo tuttora. L’ho visto l’ultima volta nell’ottobre scorso e l’ho sentito recentemente. Fino ad una decina di giorni fa mi diceva che usciva regolarmente in bicicletta. Poi anche in Svezia la situazione è peggiorata”
Il 1982 fu indubbiamente l’anno migliore della tua carriera. Quel Giro d’Italia che poteva essere tuo ed il terzo posto nella classifica finale del Superprestige Pernod ti avevano consacrato tra i migliori corridori nel panorama ciclistico internazionale. Nei due anni successivi, invece, la tua carriera subì un rallentamento. Come mai?
“Nel 1983 Gibì Baronchelli cambiò squadra e la Bianchi reclutò De Wolf. Fu una scelta sbagliata, secondo me, perché si formò un clan belga e l’ambiente si deteriorò. La mancanza di serenità all’interno del team ebbe il suo peso. Peccato, perché la Bianchi avrebbe potuto valorizzare Prim, un campione che aveva in casa“
Ed infatti nell’85, quando passasti all’Ariostea, tornarono i risultati degli anni migliori: il Midi Libre, il Tour de l’Aude , la Coppa Placci… Tu corresti sino al 1990 ed avesti la soddisfazione di indossare nuovamente la maglia rosa nel 1989. Avevi mai pensato di restare nel mondo del ciclismo?
“Quando ho smesso di correre ho staccato con il ciclismo e mi sono dedicato all’attività di famiglia (la falegnameria Prandi e Contini, che oggi produce infissi e serramenti di qualità, ndr). In verità alla fine del 1990 si era parlato di una nuova squadra, sponsorizzata dalla Irge: Bugno sarebbe stato il leader ed io il direttore sportivo, ma non se ne fece nulla”
Qualche uscita in bicicletta te la concedi ancora?
“Non in maniera assidua. Una volta ho partecipato ad un’edizione dell’Eroica. Due volte al mese esco in bicicletta con Beppe Saronni, che ha una casa dalla mie parti. Ci lega una vecchia amicizia ed un carattere simile: siamo schivi, due tipi casalinghi“
In effetti non ti si vede sui palchi delle grandi corse.
“Sai, Sono sempre stato un tipo riservato, che non ama la luce dei riflettori”
Eh, già! Sapevamo che Contini era un campione anche di modestia e di riservatezza, Quando passò professionista si era appena diplomato ragioniere e questa circostanza veniva sempre sottolineata da De Zan, durante le interviste.
“Riuscivo a conciliare studio e allenamenti, anche se non era facile. D’altra parte i miei genitori non mi avevano dato scelta: o finisci la scuola o smetti di correre, mi dicevano! Ricordo che alla vigilia dell’esame di maturità vinsi la mia prima corsa tra i dilettanti, una corsa internazionale. L’indomani mostrai l’articolo pubblicato sulla Gazzetta dello Sport al mio professore di diritto, il professor Salvi, appassionato di ciclismo. E passai la maturità”, ridacchia Silvano.
Quest’anno la Liegi non si correrà A distanza di trentotto anni dalla tua vittoria, qual è il ricordo più intenso di quel giorno?
“Senz’altro l’entusiasmo indescrivibile dei tantissimi italiani presenti, emigrati in Belgio a cercare lavoro, che mi festeggiarono con un calore commovente. Per loro fu motivo di orgoglio che un corridore italiano avesse sconfitto un campione belga . L’indomani, sui posti di lavoro, avrebbero potuto “sfottere” i colleghi del Paese che li ospitava”
Erano passati diciassette anni dalla vittoria di Carmine Preziosi.
“Ma Preziosi era naturalizzato belga! In effetti fui io il primo italiano a vincere la Liegi. Ed ho aperto la strada a tanti altri successi azzurri, da Argentin in poi .”
E questo è l’unico momento in cui Silvano abbandona – finalmente! – la sua modestia per rivendicare con orgoglio quella straordinaria vittoria, la più importante di una carriera impreziosita da quasi cinquanta successi.
La televisione, quel giorno, lo scippò – incredibilmente – della gloria: per noi, che alla Cuneo- Pinerolo dell’82 lo avremmo applaudito sul Sestriere mentre, digrignando i denti, portava l’ultimo isperato assalto al primato di Hinault, Silvano Contini resta uno dei campioni più apprezzati della nostra giovinezza. È un nostro coetaneo e parlare con lui è stato come chiacchierare con un vecchio compagno di scuola di cui non avevamo dimenticato la simpatia, la gentilezza ed anche la grinta, quando serviva: proprio come quella volta a Liegi, in una domenica di primavera dell’82.
Mario Silvano
www.ilciclismo.it, Aprile 2020
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