Il Giro e la Marmolada (prima parte). 1969: la prima volta che non ci fu

 

                                                                                         



Tra le funzioni “storiche” del Giro d’Italia c’è anche – almeno dall’avvento della televisione - quella di far conoscere le bellezze del nostro Paese.
Anche ai nostri giorni, nell’era del web e delle vacanze last-minute, il percorso del Giro ci riserva continue sorprese, assicurando in tal modo una continuità con il passato.
In questa attività di scoperta, Vincenzo Torriani era un maestro, specie per quanto riguarda le salite. Aveva portato il Giro sullo Stelvio nel 53, poi sul Gavia nel 60. In quegli anni non mancavano le novità, e i luoghi che erano conosciuti solo per essere stati visti sui sussidiari scolastici, sugli inserti de “Il Corriere dei Piccoli” o - al massimo – sui rotocalchi o su una delle prime enciclopedie illustrate, venivano resi fruibili al grande pubblico.
Tre Cime di Lavaredo, Monte Grappa, Blockhaus: Torriani era un vaso di Pandora praticamente inesauribile, dispensatore di novità ad ogni piè sospinto.

                                                                                  




Per il Giro del 1969 l’organizzatore del Giro aveva estratto dal cappello a cilindro un nuovo arrivo in salita.
Quell’anno, infatti, il Giro sarebbe arrivato sulla Marmolada: a Malga Ciapela, per l’esattezza, in prossimità della stazione di partenza della funivia che sarebbe stata inaugurata da lì a poco.
Un altro inedito arrivo in salita, dunque, ai piedi della famosa montagna delle Dolomiti, che faceva battere il cuore a molti reduci della Grande Guerra.
Era la tappa regina di quel Giro; la Trento- Marmolada, di 230 chilometri, che prevedeva ben cinque passi (Rolle, Valles, Duran, Forcella Staulanza, Colle di Santa Lucia) prima dell’inedita conclusione.
Ed era un tracciato che aveva già subito una prima modifica rispetto alla presentazione: negli intendimenti dell’organizzazione, infatti, sarebbero stati il Duran, la Forcella Staulanza, il Giau (Cima Coppi) ed il Falzarego a fare da antipasto alla salita finale. Un cambiamento della vigilia che non sminuiva il valore della frazione ma che costituiva quasi un presagio di quello che sarebbe accaduto.
Avremmo assistito - era facile prevederlo - ad una battaglia tra Eddy Merckx ed i migliori degli azzurri.
Il belga, poi, venne escluso dal Giro dopo l’arrivo di Savona, perché trovato positivo al controllo antidoping. In quei giorni non si discuteva d’altro e anche la vicenda agonistica del Giro sembrava fosse passata in secondo piano rispetto a quella clamorosa vicenda.
La maglia rosa passò a Gimondi, e da quel giorno la lotta per il primato divenne un affare tra i nostri portacolori.

                                                                                 



La tappa della Marmolada prometteva comunque bene, anche perché era stata preceduta da un’altra frazione difficile, la San Pellegrino- Folgaria, di 218 km. Sull’inedita ascesa di Cima Polsa, allora sterrata, Michele Dancelli tentò la fuga da lontano, accumulando un vantaggio di oltre quattro minuti. Poi, sull’ultima salita, ebbe una crisi di fame e saltò.

                                                                                        


 Si impose Italo Zilioli che, a quel punto, era il più accreditato rivale di Gimondi e che, dopo la bella prova di quel giorno, nutriva speranze rosa: sarebbe stata quella, la volta buona, per scrollarsi di dosso l’imbarazzante etichetta di eterno secondo?


                                                                                      


La Marmolada avrebbe definito le gerarchie e, con ogni probabilità, avrebbe delineato quella che sarebbe stata la classifica finale del Giro.

Ed è un attesa nervosa, quella che precede la tappa regina del cinquantaduesimo Giro d’Italia.
Non solo il caso Merckx occupa le prime pagine dei giornali, con le polemiche non ancora sopite
Zilioli, infatti, riceve telegrammi e lettere minatorie, che lo “invitano“ a non assumere iniziative. “Attenzione alla fine del povero Eddy, perché Felice deve vincere” e, ancora, “Lo straniero lo abbiamo eliminato. Ora chi attacca Felice avrà guai ben più seri”, sono i contenuti delle missive ricevute da Italo. Conoscendo il suo carattere c’è da immaginare che non sia rimasto del tutto indifferente.

                                                                                     



Piove e fa freddo, a Trento, al raduno di partenza, e le notizie meteo non lasciano ben sperare. Torriani comunica che sta nevicando sul Rolle e sul Valles e che si sarebbe riservato la decisione di proporre un percorso alternativo .
Il gruppo parte di malavoglia sotto una pioggia gelida e il malumore serpeggia, anche perché vi è incertezza su quello che potrà capitare. L’organizzatore del Giro temporeggia: c’è maltempo, è vero, ma sui passi c’è molta gente e spera fino all’ultimo minuto di poter far transitare la carovana sul percorso previsto, regalando agli appassionati un’altra giornata leggendaria.
Lascia addirittura la carovana e va in prima persona a controllare la situazione.

                                                                                       


Parlottano in gruppo, i corridori, ripensando alle giornate terribili sulle Tre Cime di Lavaredo nei due anni precedenti. I più anziani ripensano al Giro del 62, a quella tappa del Rolle E’ un chiacchiericcio fitto e, piano piano, si fa strada l’ipotesi del blocco.
Dopo 52 chilometri, a Grigno, un paesino della Valsugana, il gruppo si ferma: il percorso alternativo non è stato ancora ufficializzato e c’è il rischio di pedalare nella tormenta.
Non si saprà mai chi prese l’iniziativa di quella clamorosa decisione: c’è chi parla di Bitossi e Dancelli e, in effetti, è proprio quest’ultimo, in compagnia di Marino Basso, tra i primi a cercare il conforto di una camera calda. .
Michelotti informa Torriani il quale, poco dopo, comunica il percorso alternativo: da Fiera di Primiero la corsa sarebbe stata deviata per il Passo Cereda e Forcella Aurine per poi raggiungere Caprile e, da lì, risalire per la Val Pettorina sino a Malga Ciapela.

                                                                                    



Dura trentadue lunghissimi minuti lo stop volontario dei corridori che riprendono, ad andatura cicloturistica, la tappa.
Ma ormai mancano le condizioni per proseguire. Anche la proposta – forse tardiva - del percorso alternativo è comunque vanificata dall’ulteriore peggioramento delle condizioni atmosferiche. L’organizzazione, a quel punto, decide: i corridori proseguiranno sino a Fiera di Primiero e lì si fermeranno. Poco dopo sarebbe giunta la notizia di una frana - sul Passo Cereda - che avrebbe reso comunque impossibile il transito della carovana.
Tappa annullata e neutralizzata, dunque, e iniziano le polemiche.



                                                                                      



Alcuni d.s. sono furenti: il più inviperito è Valdemaro Bartolozzi, della Filotex. Aveva progettato di attaccare Gimondi e quello stop inatteso impedisce a Zilioli di cullare speranze di vittoria.
Ma anche Giorgio Albani è critico: ai suoi tempi, dice, si sarebbe proseguito lo stesso..
E Nencini ,d.s. della Max Meyer ,non nasconde il suo disappunto: aveva Claudio Michelotto pronto alla battaglia e per colpa di ” gente che ha le gambe molli”, deve rinunciare ai suoi progetti. Non è da meno il patron Sanson, il quale aveva ordinato ai suoi corridori di andare comunque avanti.
Torriani viene messo in croce: il percorso alternativo doveva essere previsto prima e, comunque, si poteva raggiungere Malga Ciapela dal fondovalle.
I tifosi, poi, sono adirati: Luciano Pezzi è insultato e, quando la notizia arriva sui Passi, il popolo del ciclismo si sente tradito.

                                                                             


E i corridori, accusati da più parti, che dicono? Alcuni erano per andare avanti: come Taccone, per esempio, o come Adorni, che definisce “pecoroni “ i suoi colleghi. Altri, invece ringraziano Torriani per la saggia decisione. Silvano Schiavon piange, perché sulla Marmolada ci voleva andare e avrebbe provato a farla sua.
Gimondi, in maglia rosa, poteva fare qualcosa? “Quando tutti si fermano” commenta il campione di Sedrina” che si può fare?” L’indomani chiederà scusa e comprensione ai tifosi, ammettendo che loro, i ciclisti, avevano preso una decisone “un po’ sbagliata”.
Qualcuno parla addirittura di viltà dei corridori, di un clima da “8 settembre”: non lo si dice espressamente, ma nei pensieri di molti Torriani viene paragonato a Badoglio, avendo lasciato i corridori senza una guida sicura.


                                                                                         



Non si arriverà sulla Marmolada, quindi, ma l’appuntamento è solo rinviato perché Vincenzo Torriani non è tipo da arrendersi facilmente: il Giro deve andare sulla Regina delle Dolomiti, e ci andrà.
Lo stesso giorno, un anno dopo, per scacciare i fantasmi di una prima volta che non c’è stata.

( continua)

Mario Silvano ( ilciclismo.it,2008)

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