Pedale Tricolore : il Giro dell'Appennino del 1989

 



In occasione della cinquantesima edizione, quella del 1989, il Giro dell’Appennino ha nuovamente l’onore di essere scelto quale prova unica per l’assegnazione della maglia tricolore. Sono passati diciassette anni dal successo di Gimondi e nuovi campioni si sono avvicendati sul traguardo di Piazza Arimondi.
Italo Zilioli, nel 1973, ha bissato il successo di dieci anni prima e, dopo di lui, sono saliti sul gradino più alto del podio Giovanni Battaglin, Fabrizio Fabbri e Francesco Moser. Per sei anni consecutivi è stato il turno di Gianbattista Baronchelli, che ha stabilito un record difficilmente battibile negli anni a venire. Poi,dall’83 all’85 sono stati Marino Lejarreta, Mario Beccia e, ancora, Moser ad iscrivere il loro nome nel prestigioso albo d’oro. Negli ultimi tre anni, infine, Gianni Bugno ha inanellato un successo dopo l’altro, uguagliando il tris di vittorie di Michele Dancelli.
Sull’auto del direttore di corsa non ci sarà più “Luigin” Ghiglione: se n’è andato nell’86, cinque anni dopo aver svolto il suo ruolo per l’ultima volta.


Alla vigilia della competizione si respira aria di battaglia. Gianni Bugno cerca il poker, ma deve vedersela con Fabio Giupponi, uscito bene dal Giro d’Italia. Ci sono Maurizio Fondriest in maglia iridata e Moreno Argentin, che ha più volte domato la Redoute ma non ancora la Bocchetta. Sono loro i nomi dei favoriti: non è terreno per Pierino Gavazzi, campione nazionale uscente.
Erano partiti in 70, diciassette anni prima, ora sono quasi il doppio, record assoluto di partecipanti. C’è persino Giuseppe Saronni, ormai sul viale del tramonto. Anche il percorso è in parte cambiato, rispetto a quello degli ultimi anni, che aveva subito diverse modifiche ed un accorciamento del consueto tracciato.
Gli organizzatori hanno previsto un passaggio nel tortonese per rendere omaggio alla memoria di Fausto Coppi e hanno inserito la salita della Crocetta d’Orero da Pedemonte. Ma il finale rispetta la tradizione perché la corsa si decide in quell’anello di cinquanta chilometri che è parte della storia del ciclismo. Sulla Bocchetta hanno promesso di esserci Ettore Milano e Andrea Carrea, che sono di casa su quelle strade. Ricordano troppo bene il volo di Fausto nel 1955, tant’è che alla vigilia della gara Carrea minaccia di passare un mazzo di ortiche sulle gambe dei corridori se nessuno oserà attaccare sulla salita della leggenda.


Domenica 25 giugno partono in 138. La corsa è veloce, con alcuni tentativi di fuga di comprimari: dapprima Mauro Monarca e poi Danilo Gioia e Stefano Cecini animano le prime fasi della gara. È Alessandro Giannelli a lanciarsi in fuga dopo il traguardo volante di Carrosio. L’atleta della Titanbonifica passa per primo in vetta alla Castagnola con 40” sul gruppo allungato. Il battistrada prosegue la sua azione e, dopo i Giovi, affronta ancora in solitudine la Crocetta di Orero. Alle sue spalle sono gli uomini della Chateau d’Ax di Gianni Bugno a guidare l’inseguimento e, a metà salita, il fuggitivo viene raggiunto. La media di corsa è da primato: dopo tre ore si viaggia sui 41 chilometri all’ora. Sulla Scoffera è Baronchelli, Signore dell’Appennino, a transitare per primo, davanti a Camillo Passera e Roberto Gusmeroli, mentre Guido Bontempi e Roberto Pagnin si ritirano. Dopo la lunga discesa il gruppo compatto attraversa Genova. In questa occasione gli organizzatori hanno deciso di far passare la corsa nel centro città anzichè sulla sopraelevata, come accadeva da tanti anni. È una processione laica quella dei corridori che sfilano tra due ali di folla, la stessa che il giorno prima aveva fatto corona alla processione di San Giovanni Battista, il patrono della Superba.


Dopo il rifornimento di Sampierdarena il gruppo risale la Valpolcevera e a Campomorone, quando si attacca la Bocchetta, si accendono le ostilità. Giupponi, Bugno, Marco Giovannetti, Franco Vona, Stefano Della Santa ed Enrico Zaina sono i più attivi sulle prime rampe, ma anche Fondriest resiste fino al muro di Langasco. Bugno e Zaina sembrano poter fare la differenza, ma in realtà non c’è nessun atleta in grado di prendere il largo. C’è grande equilibrio, forse troppo. In vetta, davanti al Cippo di Coppi e a quello di Ghiglione, passa per primo Giupponi. Suo il miglior tempo della scalata, ma quei 25 minuti e 26 secondi sono lontani anni luce dal record di Baronchelli stabilito dodici anni prima. A Voltaggio sono in tredici al comando: Marino Amadori, Argentin, Bugno, Davide Cassani, Stefano Colagè, Giorgio Furlan, Giovannetti, Giupponi, Passera, Alessandro Pozzi, Alberto Volpi, Vona e Zaina, gli stessi che (ad eccezione di Roberto Conti, saltato per crampi) erano alle spalle di Giupponi in cima alla Bocchetta, racchiusi nello spazio di pochi secondi.
Bugno, che ha ben quattro compagni di squadra, non riesce a fare ulteriore selezione sulla Castagnola e sui Giovi e solo Pozzi perde terreno. Giupponi, ancora lui, è l’unico a cercare la soluzione isolata: si ricorda di Gimondi e vuole imitarlo, proprio a Mignanego dove il bergamasco era partito 17 anni prima, ma la marcatura è spietata.


Si presentano in dodici a giocarsi il Tricolore. Un gruppetto composito, con campioni e comprimari.
Bugno e Argentin si lanciano gomito a gomito in un appassionante volata e tagliano insieme il traguardo. Bisogna aspettare il verdetto del fotofinish per decretare il vincitore. Sono minuti interminabili, alla fine dei quali arriva il responso: primo Argentin per quattro centimetri! Bugno, incredulo, impreca mentre il corridore veneto – pur vittorioso – ha da ridire sul comportamento dell’elicottero della RAI ed è polemico nei confronti della sua squadra, la Gewiss-Bianchi.
La corsa è stata tanto veloce (media record di 40,059 km/h!) da prendere in contropiede anche la RAI, la cui diretta inizia proprio mentre è in corso di svolgimento la volata finale.
Argentin è ancora una volta, dopo sei anni, campione italiano e con la maglia tricolore conquistata a Pontedecimo si aggiudicherà, l’anno successivo, il Giro delle Fiandre e la Freccia Vallone.
Bugno avrebbe dovuto aspettare altri due anni per fregiarsi del titolo italiano, replicando il successo nel 1995: la sfida tricolore a distanza tra i due campioni sarebbe finita in parità.
Appaiati anche in questo speciale palmarès, proprio come quella volta sul traguardo di Pontedecimo.



Mario Silvano (www.ilciclismo.it, 2020)

 

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