La Simca, l'Izoard e Saronni

 


 

C’è da fare ancora un po’ di lavorino”. Mi disse proprio così l’ingegnere della Motorizzazione alla fine della prova pratica dell’esame per la patente, fallita banalmente per una grossolana “cappella” .
Fu un colpo: per me e per mio padre, volontario ed inflessibile istruttore.
Avevo la baldanza dei diciott’anni e pensavo di guidare alla grande. La troppa sicurezza, si sa, gioca brutti scherzi e dovetti ripetere la prova un mese dopo.
La patente l’avevo presa da privatista , sulla Simca di papà. Una 1000 GLS verde metallizzato che aveva sostituito, da qualche anno, la gloriosa Bianchina familiare, antesignana di quelle che si sarebbero chiamate , molti anni dopo, station-wagon.
All’epoca la Simca 1000 contendeva la palma della macchina più inguardabile alla NSU Prinz.
Vasche da bagno, venivano definite con sufficienza da chi poteva permettersi un’auto di cilindrata maggiore , magari di un marchio prestigioso.
Eppure, tra gli anni 60 e 70 la vettura francese aveva goduto di un periodo di notorietà e vendeva bene.
Una berlina economica , a quattro porte e trazione posteriore. Rispetto a certe utilitarie dell’epoca possedeva certi dettagli –come dire- preziosi, specie dopo il restyling di fine decennio.
Certo di difetti ne aveva: i sedili di finta pelle erano roventi in estate, il bagagliaio anteriore poco funzionale , la tenuta di strada non certa perfetta, e la temperatura dell’acqua raggiungeva con facilità la zona rossa.
Però ci fu un tempo in cui una versione sportiva partecipava anche ai rallies : insomma, non era proprio da buttare.





Fu con la Simca che decidemmo di andare a vedere la Cuneo-Pinerolo, la mitica tappa che in quell’anno (era il 1982) veniva riproposta per la terza volta nella storia del Giro d’Italia .
Erano passati 18 anni dalla vittoria in solitaria di Franco Bitossi, trentatrè dal volo del Campionissimo.
Ripercorrere quel percorso leggendario aveva un sapore antico.
Cosa ci si attendeva da quella tappa, collocata da Torriani al penultimo giorno del Giro ?
Le aspettative erano tante, inutile nasconderlo. Hinault pareva avere in pugno la corsa , ma i giochi non sembravano del tutto chiusi. Contini aveva provato ad attaccarlo , con successo, nella tappa del Crocedomini, strappandogli le insegne del primato.
Il sogno rosa di Silvano era durato appena ventiquattr’ore perché il bretone, nella successiva breve tappa di Montecampione, aveva ristabilito le gerarchie.
Però c’era la Cuneo- Pinerolo.
Bernard si sarebbe difeso dagli attacchi o avrebbe attaccato a sua volta su quelle strade leggendarie, come aveva fatto sullo Stelvio due anni prima?
E la Bianchi-Piaggio? Ferretti avrebbe provato a fare qualcosa con il famoso tridente (Baronchelli, Prim e Contini)?. E poi Van Impe, in maglia verde, si sarebbe accontentato di scollinare in prima posizione sui cinque colli per legittimare il titolo di miglior scalatore del Giro? E Marco Groppo, rivelazione di quell’anno, avrebbe voluto sorprenderci? I motivi di interesse, alla vigilia, non mancavano di certo, anche se il confronto con il passato pesava non poco.
Nel 1949 Coppi aveva compiuto un’impresa straordinaria, scattando sulla Maddalena e scalando in solitudine tutti i colli. Il secondo, che era pur sempre Gino Bartali, era arrivato a quasi 12 minuti.
Nel 1964 Franco Bitossi trovò una giornata di gloria, ma la classifica del Giro non era stata sconvolta perchè Anquetil si era difeso bene e aveva conservato la maglia rosa.
E stavolta cosa sarebbe accaduto?. Era assai improbabile che la tappa potesse riproporre il duello omerico che impressionò Buzzati. Il tempo degli eroi era finito, e anche quello dell’epica.
Ma era pur sempre la Cuneo-Pinerolo, perdio!





Con una valigia carica di interrogativi (ma anche di Dolcetto d’Ovada , di verdure ripiene e di polpettone) si partì alla volta di Cuneo.
Decidemmo di percorre per intero il tracciato della tappa e di fermarci in vetta al Sestriere.
A Genova c’era un caldo estivo.
Niente autostrada, come se fossimo ancora nel ’49: in fondo era anche un viaggio nel passato, e così si decise di ignorare sia il viadotto Morandi che la Savona-Torino.
Sul Colle di Cadibona un gatto (non nero, per fortuna) attraversò improvvisamente la strada . Non feci in tempo a frenare. Miracolosamente uscì illeso! Che fosse comunque un segno?
Dopo una sosta per l’acquisto del pane (“Madamin, ha delle biove?”) , via verso il Passo della Maddalena .
Tempo grigio e nuvole basse impedivano, attraversando la Valle Stura, non dico di vedere, ma neppure di immaginare le vette della Provincia Granda
Fu così anche dopo il confine .
Poi il Vars. Salita impegnativa, ma non particolarmente dura.
In cima non si vedeva niente. Lunghissima la discesa , con rettilinei che sembravano non finire mai.
La Simca aveva superato bene i due primi colli e ora si accingeva ad attaccare l’Izoard.
L’aria di casa la rendeva particolarmente brillante mentre ci si dirigeva verso una delle salite mitiche della storia del ciclismo.
Due anni prima aveva affrontato il Telegraphe ed il Galibier con baldanza, di ritorno da Parigi, in una splendida giornata di sole. Era avvezza alle salite alpine e non si lasciava impressionare dalle pendenze. Era stata anche sul San Bernardino e sul Brennero, sullo Jafferau e al Moncenisio, sul Falzarego e sul Pordoi: le credenziali c’erano, insomma.




L’ascesa al Galibier è spettacolare. A Valloire si è accolti in uno scenario alpino che non teme di essere ammirato.
Per l’Izoard è diverso: ci si avvicina piano piano. E’un itinerario più misterioso e, per certi aspetti ,più accattivante.
Prima una lunga gola e poi, più o meno all’altezza del bivio che porta al Colle dell’Agnello, la strada comincia a salire, ma in maniera non violenta, percorrendo lungi rettilinei.
E’ solo dopo il paese di Brunissard che si ha un’impennata e certi tornanti si sentono. Si entra in una foresta di larici, all’uscita della quale la salita continua. Ma non si indovina la cima, ogni curva potrebbe essere una sorpresa. E’ questo il fascino di una salita che , percorsa dal Tour per la prima volta nel 1922, ha segnato la corsa francese almeno fino agli anni 50.




Tre uomini, tra gli altri, hanno incrociato i loro destini sull’Izoard.
Bartali, che lo dominò nel 38 e che dieci anni dopo proprio sull’Izoard ipotecò la sua seconda splendida vittoria finale.
Fausto Coppi, che la fece sua per due volte nello stesso anno ( il ’49) al Giro e al Tour, e che nel 51, proprio sull’Izoard, lasciò il segno della sua classe in una Grand Boucle corsa con il cuore e la mente rivolta a Serse.
Luison Bobet, infine, che sull’Izoard passò per tre volte in prima posizione suggellando, nel 53 e nel 54 , due dei suoi tre successi consecutivi al Tour.
E insieme a loro Bartolomeo Aimo, che la percorse in parte a piedi, e Bottecchia, Sylver Maes, Vietto e tanti altri.
Una salita che il Tour ha parzialmente dimenticato dagli anni 70 in avanti ma che è stata in qualche modo adottata dal Giro, e non solo per la Cuneo - Pinerolo.

Pensavo ai campioni del passato mentre guidavo la Simca . Mi aspettavo di arrivare da un momento all’altro alla “Casse Dèserte”.




Le nubi a poco a poco si dissolsero e, dopo una curva, entrai in quel paesaggio unico e inconfondibile , lunare, da inferno dantesco .
La “Casse Dèserte” si lasciò ammirare in tutto il suo fascino. Un ‘emozione indimenticabile. Uno dei luoghi emblematici della storia del ciclismo.
E poi il cippo di Coppi, e un cicloturista che imprecava per la fatica rifiutando orgoglioso le nostre spinte e quei ghiaioni immensi e i pochi alberi che sembravano essere nati per caso, conficcati nella roccia.
La discesa mi impressionò: stretta , con tante curve.
Scollinando sul Monginevro ritornammo in Italia. Passato il confine (c’era ancora la dogana, allora) ci fermammo per una breve sosta.
Un muro attirò l’attenzione di mio padre. Aveva portato con sé la calce e il pennello e, con l’entusiasmo e la passione di un ragazzino scrisse a lettere cubitali: un nome: “SARONNI”.
Un incitamento al suo (e al mio) beniamino che si sarebbe rivelato incredibilmente profetico.





Dopo la discesa su Cesana, si iniziò a salire sul Sestriere. Era il tardo pomeriggio, ma molti avevano già preso posizione.. Mano a mano che si saliva aumentava il numero delle auto e dei camper parcheggiati ai lati della strada . Ci fermammo infine in prossimità della vetta: l’inconfondibile sagoma del “Principe di Piemonte” si scorgeva benissimo.
Una cena frugale (ma come erano buone le zucchine di mamma!) e poi ci infilammo nei sacchi a pelo, tentando di dormire.
E non fu facile. Non solo per il freddo (la temperatura era calata, eccome!) , ma anche per i cori alpini di un simpatico gruppo di veneti che , tra colorite bestemmie, scolavano litri di grappa.
In un modo o nell’altro, la notte passò.
Al mattino lo scenario era completamente cambiato: il Sestriere aveva accolto un numero impressionante di camper e autovetture
Mio padre, svegliatosi all’alba (ma avrà poi dormito quella notte?) con una dose di ironia che non gli riconoscevo scrisse sull’asfalto: “Forza, Tersi, se resisti vincerai”. Un estemporaneo incoraggiamento a sè stesso (si chiamava Tersino, infatti) che nel corso della giornata non mancò di incuriosire molti appassionati. “Tersi?, chi è questo Tersi?” e, ancora, “In che squadra corre? Guarda un po’ la Gazzetta!”, si chiedevano leggendo e rileggendo la scritta .
E lui a ridere sotto i baffi.
Andai a piedi in paese a recuperare una copia della Gazzetta dello Sport: sembrava di essere nel centro di una grande città, tanta era l’animazione.
Il popolo del ciclismo si era dato appuntamento lassù ancora una volta.



Cominciò l’attesa.
Un giorno da leggenda”, titolava la Rosea quel 5 giugno.
Con Hinault in maglia rosa, Contini a 1’41” e Prim a 1’53”.
Burno Raschi, acutamente, scriveva: “Oggi , lo dicono tutti, si decide il Giro; un Giro che, secondo altri , è già deciso. Io non aggiungo opinioni alle certezze o alle speranze. La Cuneo-Pinerolo è una tappa iperbolica che solo simbolicamente può confrontare il presente con il passato. Essa avrà a testimone, in cima all’Izoard, l’ombra di Coppi, soltanto quella. Il resto è leggenda e la leggenda, quando non è riproponibile, svapora nel tempo, fa nostalgia. Coppi vinse nel fango: questo ciclismo, che rifiuta con disprezzo la polvere, tollera a malapena l’asfalto. La tappa dei cinque colli prevede 4716 metri di dislivello in 95 chilometri di ascesa. Può dunque ribaltare brutalmente il Giro d’Italia, ma rischia anche di lasciarlo tale e quale.”
Quale delle due ipotesi prospettate da Raschi si sarebbe realizzata? Di certo, stando alle dichiarazioni della vigilia, Hinault non avrebbe fatto l’impresa, ed avrebbe atteso le mosse degli avversari..





La partenza della tappa era stata fissata alle 7. La radio , in mattinata , diede le prime notizie.
Sulla Maddalena era passato per primo Freuler. Ma come? Un velocista all’attacco ! Sembrò quasi una profanazione . Certo i tempi erano cambiati e nessuno si aspettava la ripetizione della strepitosa cavalcata del 49, ma Freuler…..Freuler no! Era difficile accettare che un pur dotato velocista osasse scattare sulla salita che aveva visto Fausto spiccare il volo.
Stavolta , invece erano andati in fuga in quattro: oltre all’elvetico, Favero, Pronk e Juarez Moral
E la fuga proseguì anche sul Vars, dove scollinò per primo lo spagnolo. Il gruppo dei migliori seguiva a oltre quattro minuti.
Restava l’Izoard, la Cima Coppi.




Moser si staccò, e Saronni preferì non forzare.. Contini, invece, ci aveva provato.
Uno scatto breve , approfittando di un attimo di debolezza del Bretone. Ma si era trattato di un tentativo appena accennato, che non aveva prodotto conseguenze. Davanti all’obelisco posto in vetta all’Izoard transitò per primo Van Impe, seguito da Contini e Hinault, staccati di sei secondi, Beccia a 42” e Ruperez a 50”. Saronni passò a un minuto, precedendo Baronchelli di diciassette secondi. Moser pagò un ritardo di 2’11”.
La discesa su Briancon consentì al gruppetto dei migliori di ricomporsi. Erano in dodici al comando.




A quel punto tutti capimmo che le nostre aspettative erano destinate a sfumare. Se la selezione non l’aveva fatta l’Izoard, come potevano farla il Monginevro e il Sestriere?
Sul Monginevro (ancora primo Van Impe) solo Baronchelli, Groppo, Ceruti e Moser avevano perso contatto dagli altri fuggitivi, ma si trattava di una manciata di secondi.
Piano piano si avvicinò l’ora del passaggio sul Sestriere, il colle che – in cuor nostro- doveva costituire una sorta di redde rationem.
Ma tutto avvenne in fretta , come se si volesse archiviare in sordina una tappa che - ormai era chiaro- aveva tradito le attese.
Passò Gianni Motta, sul suo Maggiolino cabriolet, e passarono le Miss del Giro.
Dalla curva spuntò il gruppetto dei fuggitivi. Fu Contini a tentare uno scatto, seguito da Van Impe. E c’erano Baronchelli e Prim, Groppo in maglia bianca , Beppe Saronni scortato da Natale e Ceruti ,e Faustino Ruperez e Mario Beccia a chiudere il gruppetto.




Hinault pareva tranquillo: aveva il Giro in tasca. Non si scompose neppure quando Van Impe, reagendo allo scatto di Contini, si aggiudicò l’ultimo GPM. Il Tasso gli regalò l’inezia di 16 secondi.
Mancava solo Moser, respinto dall’ultima salita. Passò dopo quattro minuti, teso nello sforzo, nella sua maglia ciclamino, tra un boato di applausi. Mancavano ancora poco più di 50 chilometri a Pinerolo, ma non ce la fece a rientrare sui fuggitivi, che si giocarono la vittoria in volata.
Vinse Saronni su Hinault, riscattando in tal modo un Giro opaco. Da suo tifoso ero contento, ma la delusione ebbe il sopravvento.




La Simca riprese la strada del ritorno , un po’ mesto in verità, scendendo verso Cesana e imboccando poi la Valle Susa , in direzione Torino.
L’indomani , nella crono conclusiva , Hinault mise il sigillo al suo secondo successo nella corsa Rosa.
Fu -scrisse Raschi- una tappa inutile od utile solo a far rimpiangere il passato. Perché, proseguiva il grande giornalista, “ questa Cuneo –Pinerolo, per noi, non l’ha vinta Saronni: l’ha ancora vinta Coppi
Giudizio ineccepibile, ma Saronni ricordò quella vittoria con particolare affetto, tant’è che –disse- era preferibile il successo in quella frazione piuttosto che una piazza d’onore nello stesso Giro.




E la Simca? Vide altre corse e camminò ancora per tanti anni. Poi, quando il suo padrone (che l’aveva coccolata, vezzeggiata, protetta) fu vinto dagli oltraggi della vecchiaia e si cominciò a parlare di bollini blu, di marmitte catalitiche , di euro 0, euro1 e così via, all’ alba del terzo millennio fu avviata alla rottamazione , in un freddo pomeriggio di novembre..
Fu triste, ancor più di .quando – tanti anni  prima- era stata violata, perquisita, frugata da sin troppo solerti gendarmi della DDR .
Fece il suo ultimo viaggio trascinata da un carro attrezzi, attraversando Genova per l’ultima volta, in una passerella che suscitò la curiosità di chi non l’aveva mai vista e la nostalgia di chi , rivedendola , ripensò alla giovinezza ormai lontana.

Solo allora capii quanto le avevo voluto bene, proprio come quella volta che mi portò sull’Izoard. 


Mario Silvano

 

Commenti

Post popolari in questo blog

Mémoires du Tour. Pirenei 1969: Merckx, l'extraterrestre

Emilia 1978: Felice e Franco scendono di sella

Mémoires du Tour: il giallo di Polidori ( e del Gelosino)