Orvieto 1980: la gelida vittoria di Contini, Visentini in rosa
Recentemente mi è capitato tra le mani il libretto
universitario. Nonostante siano passati tanti anni, è ancora in buone
condizioni. La foto in bianco e nero, in verità, sembra non appartenermi, ed
anche i dati a stampa sono un po' sbiaditi. Però i timbri, i voti e le firme
dei professori sono ancora perfetti.
Ho notato che, di regola, riuscivo a programmare gli esami in modo da non
doverli sostenere durante il Giro d’Italia. Salvo pochissime eccezioni,
infatti, nel periodo a cavallo tra metà maggio e metà giugno evitavo
accuratamente gli appelli fissati in quel lasso di tempo. Solo Diritto Penale,
Filosofia del Diritto e Diritto Ecclesiastico hanno "macchiato" un
percorso universitario accuratamente programmato per evitare intralci all’attenta
disamina del Giro d’Italia.
Ricordo - era il 1980
- che mi ero proposto di sostenere ben tre esami tra maggio e luglio. Il primo,
Diritto Ecclesiastico, era previsto per il 20 maggio, pochi giorni dopo
l’inizio del Giro che quell’anno partiva proprio da Genova. Una scocciatura non
da poco che, comunque, non mi impedì di assistere al prologo a cronometro e, il
giorno successivo, alla partenza dei corridori alla volta di Imperia. L’esame
andò bene (mi diede trenta, il professor Gómez de Ayala) e, al pomeriggio, assistetti
rilassato alla telecronaca della cronometro di Pisa , vinta da Marcussen.
Era il primo Giro di Bernard Hinault, calato in Italia con
l’intenzione di farlo suo. Ci sarebbe riuscito, il campione bretone, con la
fuga sullo Stelvio. Saronni avrebbe fatto incetta di traguardi parziali e
Panizza avrebbe commosso l’Italia con la sua maglia rosa conquistata a
trentacinque anni.
Quell’anno, poi, Claudio Ferretti ideò una curiosa
iniziativa radiofonica. Il Giro d’Italia, quello vero, sarebbe stato preceduto
da un giro virtuale corso al computer da otto campioni del passato (Girardengo,
Binda, Bartali, Coppi, Bobet, Anquetil, Gimondi, e Merckx) che si sarebbero
dati battaglia sulle stesse tappe dell’edizione dell’80.
https://giriditalianehovistitanti.blogspot.com/2021/10/i-magnifici-otto-quel-giro-ditalia-al.html
Ogni giorno, intorno alle 14, Claudio Ferretti e Bruno Raschi commentavano le
fasi di ogni tappa: fughe, passaggi in vetta ai GPM, forature e cadute
rendevano, se non verosimile, quantomeno divertente la cronaca di una corsa
che, alla fine, vide il successo finale di Coppi, il quale strappò la maglia
rosa a Merckx nella tappa dello Stelvio. Il belga si era aggiudicato ben sette
tappe, ma il computer aveva decretato che il più forte era l’atleta di
Castellania.
Non mancarono neppure discussioni e polemiche, alimentate – tra gli altri - da
Defilippis, Baldini e, soprattutto, da Gino Bartali che accusò il computer di
essere coppiano.
Magni, escluso dalla contesa virtuale, commentava ogni giorno le tappe sulla
"Rosea" e non c’era quotidiano che non dedicasse almeno un trafiletto
all’evento: l’operazione "vintage", insomma, suscitò curiosità e,
sulle ali della nostalgia, contribuiva ad alimentare le attese per il Giro
reale.
In quell’edizione, caratterizzata dalle lacrime di Miro
Panizza e dal trionfo del campione francese, ci fu anche il bel successo di Battaglin
a Pecol e ci fu la terribile tappa di Orvieto, che proiettò sul palcoscenico
del grande ciclismo due giovani virgulti del ciclismo nostrano - Contini e
Visentini - e che fece capire che Saronni e Moser il Giro non l’avrebbero
vinto.
Dopo l’inedita tappa dell’isola d’Elba, infatti, il Giro affrontò la quinta
frazione, che da Castiglione della Pescaia avrebbe portato la carovana nella
città del Duomo. Un percorso di 199 chilometri sul quale spiccava a metà corsa
la mole del Monte Amiata e caratterizzato, nella seconda parte, da continui
saliscendi. Una tappa che sulla carta si prestava a fughe di comprimari ma che
le condizioni del tempo l’avrebbero resa particolarmente difficile e
combattuta.
Già alla partenza, infatti, piove e i primi sessanta minuti vengono
percorsi ad una media quasi cicloturistica. I girini pedalano a trenta all’ora
sulle strade allagate dall’acqua del Grossetano. Cinque atleti non si lasciano
scoraggiare dal tempo inclemente e prendono il largo: Tosoni, Bertacco, Noris,
Antonini e Bernadeau allungano e ad Arcidosso hanno un vantaggio di quasi
cinque minuti sul plotone. Il monte Amiata accoglie i corridori nella nebbia:
di quella spessa, del peggiore inverno padano. Continua a piovere e fa freddo,
in quota c’è anche la neve ai lati della strada e c’è chi registra una
temperatura di tre gradi. I girini preferirebbero deviare verso una delle tante
località termali della zona, tuffarsi magari nelle acque di Bagno Vignoni, ma
bisogna proseguire su quella salita dura, resa tremenda dalle condizioni del
tempo.
Non è il Bondone del ‘56, certamente, ma distinguere i ciclisti sulla salita è
un esercizio difficile per i pur numerosi tifosi presenti, così come arduo è
immaginare l’evolversi della situazione.
In vetta, a 1420 metri di quota, transita per primo Bernadeau, che ha staccato
i compagni di fuga. Contini e Visentini hanno allungato e passano a poco più di
due minuti. Hinault, più staccato, è a 2’25".
La discesa su Abbadia San Salvadore è un continuo gioco di equilibrio ed il
freddo diventa insostenibile. A Piancastagnaio Bernadeau è raggiunto da chi ha
saputo cavarsela meglio , limando le curve e stringendo i denti. Arroyo,
Fernandez, Contini, Hinault e Bertini raggiungono Bernadeau e, in breve tempo
racimolano un vantaggio di trentacinque secondi su Saronni, Moser e gli altri i
quali, grazie ad un tenace inseguimento, riescono in qualche modo a porre
rimedio alla situazione.
Poi, tra i continui saliscendi che caratterizzano le fasi finali della tappa,
la situazione muta un’altra volta. Si avvantaggiano sei uomini (Panizza,
Chinetti, De Witte, Fernandez, Bertini e Tommy Prim) ai quali si aggiunge un
altro manipolo di coraggiosi formato da Battaglin, Contini, Ruperez, Visentini,
Schmutz, Natale, Corti e Arroyo. Mancano venti chilometri alla fine e Hinault
pare abbia tirato i remi in barca, cosi come Saronni e Moser, che lo marcano
stretto.
https://www.youtube.com/watch?v=wKqrFSjF8LI
Sull’ultima salita il gruppetto si sfalda e sei ore abbondanti passate sotto la pioggia incessante lasciano il segno. I due spagnoli sembrano averne di più ma Contini rintuzza la loro azione e sul traguardo di Piazza Cahen (una distesa di ombrelli aperti, quel pomeriggio) precede di un soffio Fernández e Faustino Ruperez, fresco vincitore della Vuelta, di cinque secondi. Battaglin - che la pioggia non l’ha mai amata - arriva a undici secondi insieme a Visentini.
Bisogna aspettare più di quattro minuti per vedere Hinault e gli altri sotto lo
striscione ed avere la conferma che proprio il bresciano Visentini è la nuova
maglia rosa. Nel giorno del gran freddo ci sono conferme (Contini non teme
l’acqua, l’aveva già dimostrato al Giro di Lombardia dell’anno precedente) e
sorprese positive (Visentini, che sembrava un figlio di papà allevato nella
bambagia, ha dimostrato di saper soffrire).
Battaglin, che ha sempre amato il sole, è andato addirittura all’avanscoperta e per un giorno non ha temuto la bronchite. Moser, invece, in una giornata che sembrava fatta per esaltare le sue doti, ha sofferto il freddo nella discesa dell’Amiata e le sue dichiarazioni sul palco sono la prova che i corridori hanno dovuto affrontare un’esperienza terribile, ancor più di quello che lasciavano vedere le (poche) immagini trasmesse dalla televisione. L’ultimo arrivato fa registrare un ritardo di oltre trentaquattro minuti dal vincitore: nemmeno nella tappa dello Stelvio ci sarebbe stato un distacco così rilevante!
E in quella discesa dell’Amiata, dove bisognava indovinare le traiettorie delle curve, si è rischiato grosso. Non accadde nulla per fortuna, ma qualcuno fece rimbalzare la voce che un mezzo della Magniflex con tre persone a bordo era finito in un burrone, provocando minuti di panico sul traguardo di Orvieto prima che arrivasse la conferma che nessun incidente aveva funestato quella difficile fase della corsa.8
Il Giro sarebbe ripartito l’indomani per Fiuggi e il sogno
rosa di Visentini si sarebbe infranto sulla salita di Roccaraso. Chi si era
illuso pensando che Hinault fosse stato intimorito dal freddo e dall’acqua
dell’Amiata (proprio lui che il mese prima aveva dominato una Liegi sotto la
neve!) si sarebbe dovuto ricredere. La tappa di Orvieto non entrò negli annali
del Giro (in fondo non era successo niente di che) ma se chiedessimo oggi a
Francesco Moser di ricordare la tappa in cui aveva patito più freddo, non
avrebbe dubbi nell’indicare quella frazione come la peggiore della sua lunga
carriera.
E che fosse una tappa per uomini duri l’aveva
"intuito" anche il computer: nel Giro virtuale di Ferretti e Raschi
la frazione di Orvieto l’aveva vinta Ginettaccio.
Mario Silvano
(www.cicloweb.it, 2011)
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