Quelle Sanremo di Saronni ( e dei miei vent'anni)
Enzo Tortora fu un grande
protagonista della televisione.
Ex baistrocchino (la Baistrocchi,
per chi non lo sapesse, è la compagnia goliardica che da oltre un
secolo allieta ogni anno i genovesi con con i propri spettacoli ), animò la scena televisiva dagli
albori e per oltre un decennio fintasntoché, esiliato dalla Rai, cercò fortuna
dapprima nella Tv Svizzera e, poi, nelle prime reti private.
Nel 1977 ritornò alla grande,
proponendo un programma – Portobello- che riscosse un successo incredibile.
La trasmissione andava in onda al
venerdì in prima serata. E fu proprio venerdì 17 Marzo che Enzo Tortora
presentò alla platea televisiva italiana un ragazzino che l’indomani avrebbe
potuto vincere la Classicissima di primavera. Quando Tortora annunciò che si
sarebbe passati al ciclismo, chiusi la dispensa sulla “riserva di legge” e mi
piazzai davanti alla televisione.
Giuseppe Saronni era un po’
emozionato davanti alle telecamere : un ragazzo di vent’anni che l’indomani
avrebbe difeso i colori azzurri alla Milano- Sanremo.
Era pur vero che Michele Dancelli
aveva interrotto, nel 1970, il digiuno che durava dal ‘53 , e che Felice
Gimondi , in maglia iridata , aveva trionfato in Via Roma quattro anni dopo.
Però erano seguite altre vittorie
straniere e la Sanremo sembrava destinata ad essere comunque una corsa
difficile per i nostri colori. Due successi azzurri in un quarto di secolo non
costituivano di certo un gran risultato.
Saronni (forse Tortora l’aveva
intuito,da uomo di spettacolo e sport qual’era) poteva essere l’uomo nuovo del
ciclismo italiano, quello a cui affidare il rilancio del ciclismo, dopo la
stagione gloriosa degli anni 60/70.
C’era Moser in maglia arcobaleno,
è vero, fortissimo nella corse di un giorno , e c’erano Baronchelli e
Battaglin, ma a ciascuno sembrava mancare qualcosa per essere protagonista su
tutti i terreni.
Quel ragazzino , sul cui valore
aveva giurato Colnago, poteva rappresentare la sintesi delle doti necessarie
per essere un grande?
Era difficile rispondere.
Certamente prematuro azzardare previsioni, ma il primo anno di professionismo
aveva lasciato intravedere ottime cose. Un ragazzo diciannovenne che si
aggiudica diverse classiche nazionali e arriva secondo alla Freccia Vallone :
un bel biglietto da visita! E se non si fosse procurato una frattura alla
clavicola , avrebbe potuto essere protagonista al Giro d’Italia.
Il ‘78, poi, era iniziato alla
grande, con un bel successo alla Tirreno-Adriatico..
Era teso, teso ed emozionato
davanti alle telecamere.
Me lo sono sempre chiesto: ma la
trasmissione era in diretta , o la partecipazione del giovane campione era
stata registrata?. Più probabile la seconda ipotesi perché era difficile
pensare che un candidato alla vittoria nella classica di San Giuseppe potesse
andare a dormire troppo tardi, la sera della vigilia.
Bartali l’aveva fatto, accettando
la sfida di Serse Coppi , ma erano altri tempi.
Non era la prima Sanremo, per
Saronni. L’anno prima , quando vinse Raas, si classificò al 19° posto.
Ma adesso era diverso , aveva
capito che quella corsa si adattava alle sue caratteristiche.
C’era il Poggio, che sembrava
fatto apposta per esaltare le sue qualità di scattista. E quand’anche si fosse
arrivati in volata (di gruppo, o ristretta), avrebbe potuto far valere le sue
qualità di velocista.
Non era stato pluricampione della
velocità su pista? Dunque, almeno sulla carta, non poteva lasciarsi
impressionare dal rettilineo di Via Roma, semprechè lo spunto finale non fosse
stato appannato dalla distanza della gara.
Si corse sabato 18 marzo. La
televisione (al singolare, allora) ed i giornali erano occupati dagli
interrogativi sul rapimento di Aldo Moro e sulla strage della sua scorta .
Erano passati appena due giorni da Via Fani e anche la carovana osservò un
minuto di raccoglimento , prima della partenza.
Un mese prima era scomparso
Girardengo: a Novi, quella volta, il Campionissimo non ci sarebbe stato ad
assistere al passaggio della sua Corsa.
Beppe fu protagonista, quel
giorno, quasi volesse dimostrare che Tortora , la sera prima, aveva visto
giusto.
Una Sanremo caratterizzata da una
lunga fuga. Poi, ad una ventina di chilometri dal traguardo accadde che un
comprimario, Alessio Antonini, scattasse dal gruppo.
Fu Saronni , insieme al francese Hezard, a raggiungerlo. Ai tre si aggiunse ben presto un cliente scomodo, Roger de Vlaeminck, quell’anno compagno di squadra di Moser , che già nel 73 si era imposto nella città del Festival.
In quattro affrontarono il
Poggio, sul quale Saronni tentò, invano, di liberarsi del belga.
Arrivarono in tre a giocarsi la
corsa del sole (Hezard aveva nel frattempo forato).
Ai duecentocinquanta metri finali
Beppe, in testa al terzetto e vicino alle transenne, venne affiancato dal
fiammingo che lo superò. Antonini, a sua volta, cercò invano di recuperare all’esterno.
Beppe cercò di prendere la ruota
dello zingaro, ma smise di pedalare ai 25 metri, quando si accorse che la
rimonta non sarebbe stata premiata.
Troppo forte il belga, o in
quella occasione Saronni peccò di inesperienza?
Fu grande il disappunto del
motociclista della telecamera mobile che (forse tifoso del “bimbo”) non riuscì
a trattenere un gesto di stizza. Un secondo posto dietro ad un grandissimo ,
per un ventenne, ci poteva anche stare. Ma quel secondo posto dimostrava ,
soprattutto, che la Sanremo era adattissima ai mezzi di Saronni. Il giudizio
del fiammingo ( “Non sempre vince il più forte”, disse più o meno De Vlaeminck),
costituiva - se non un passaggio di consegne – quantomeno un buon viatico per
il futuro.
L’anno successivo le aspettative
erano cresciute .Beppe ne aveva vinte di corse: ormai non era più una promessa
.E alla Sanremo (caratterizzata, come al solito, da una lunga fuga), dimostrò
di tenerci: appiedato da una foratura, recuperò il distacco, riagganciando il
gruppo dei migliori.
In fondo alla discesa del Poggio,
arrivò un gruppo neppure troppo numeroso. C’era Saronni, ma c’era anche De
Vlaeminck. Forse Beppe preferiva evitare il confronto con il belga: la
sconfitta dell’anno precedente bruciava ancora. O forse preferiva la soluzione
isolata.
Cercò di allungare, ma Moser si
preoccupò di andarlo a riprendere: la rivalità tra i due era già un dato di
fatto.
Poi, inaspettatamente, ci provò
Beccia.
Lo scalatore pugliese ( che
spesso si lamentava con gli organizzatori del Giro d’Italia per i percorsi
troppo morbidi) giocò la carta della sorpresa. Si presentò in Via Roma solo al
comando ma, in breve ,venne risucchiato dagli inseguitori. Saronni stavolta
prese la ruota di De Vlaeminck, uscì alla sua sinistra ma non riusci a
rimontarlo. Il belga vinse senza discussioni la sua terza Sanremo.
Per Beppe la replica di un finale
già visto, in una corsa nella quale era stato anche sfortunato.
Si sarebbe consolato nella tarda
primavera, aggiudicandosi il suo primo Giro d’Italia.
In fondo era molto giovane , e
chissà quante Sanremo avrebbe corso da protagonista!
Nel 1980 è Francesco Moser ad
essere indicato da più parti come il favorito: e’ in forma, ha vinto la
Tirreno-Adriatico ed una vittoria nella Milano Sanremo avrebbe impreziosito un
ricco palmarès che, negli ultimi due anni, si era arricchito con le vittorie
nella Parigi-Roubaix.
La corsa fu caratterizzata da una
lunga fuga di tre coraggiosi (Tosoni, Bertacco e De Beule ,gli ultimi due
raggiunti in vista del Poggio, dopo 251 chilometri di fuga).
Sull’ultima salita tentarono di
involarsi Vandenbroucke e Bortolotto, ma senza risultati.
In discesa cercò la soluzione a
sorpresa Pollentier, ma lo sgraziato vincitore del Giro del 1977 venne ripreso
all’ultimo chilometro. Beppe, che non tentò di involarsi sul Poggio, accettò
nuovamente la sfida con De Vlaeminck, e non solo con lui.
C’erano anche Raas, che cercava
il bis, c’era Sean Kelly e anche Moser era della partita.
E c’era anche Pierino Gavazzi, il
velocista bresciano che pareva destinato (con i suoi 98 secondi posti) a
raccogliere -tutt’al più- un’altra piazza d’onore. In quel consesso non sarebbe
stato un risultato disprezzabile.
Fu un arrivo al cardiopalmo che
ricordava quello di un’altra Sanremo, l’edizione del 1966,la prima di Merckx,
quando si avventarono sul traguardo in quattro (oltre al giovane fiammingo
c’erano Durante, Van Springel e Dancelli).
Raas scelse una volata solitaria,
sul lato destro della sede stradale
Al centro Gavazzi , sulla sua
sinistra Saronni. e, verso le transenne, Kelly.
Moser e De Vlaeminck appena
dietro.
Stavolta per Beppe sembrava
fatta. Pur in rimonta, non riuscì tuttavia a piegare la resistenza di Gavazzi
che, con un ultimo disperato colpo di reni, mise – seppur di pochissimo- la sua
ruota davanti a quella del “bimbo”.
Solo allora Saronni si ricordò
che Pierino l’anno prima , al Giro della Campania, gli aveva soffiato la
vittoria per un niente.
Un’altra beffa, per Beppe, la
terza in tre anni. Questa volta per De Vlaeminck, preceduto anche da Raas non
ci fu posto nemmeno sul podio, ma non fu sufficiente battere gli stranieri.
La Sanremo, la corsa che aveva
sempre sognato di vincere, non riusciva ad essere sua, quasi che gli si volesse
negare un regalo per il giorno del suo onomastico..
Venne rimproverato, quella volta,
per essere stato troppo coperto, di non avere provato ad andarsene sul Poggio.
Tre secondi posti in tre anni
consecutivi. Neppure le sette vittorie al Giro , neppure la maglia tricolore,
che indosserà ad Arezzo, riusciranno ad attenuare la delusione.
Nei due anni successivi Saronni
sembra rinunciare alla Sanremo.
Nell’81 pare più preoccupato a
controllare Moser sul Poggio (e Moser controlla sua volta Saronni): i due si
rendono protagonisti (in negativo) di una manfrina che irrita gli appassionati.
Nell’82, in una giornata
autunnale, si ritira sul Turchino.
Discorso chiuso con la
Classicissima? No, soltanto rimandato all’anno successivo.
Quel sabato 19 marzo del 1983 era
una giornata calda . C’erano anche allora , mica solo oggi!
Era bello pedalare sulle strade
che , di lì a poco, sarebbero state percorse dai corridori.
Al ritorno, decisi di andare a
vedere il passaggio della Sanremo in fondo alla discesa del Turchino, nei
pressi di Mele: là dove la strada disegna una serpentina di tornanti prima di
affiancare il torrente Cerusa , dirigersi verso Voltri e imboccare l’Aurelia,
tra il profumo del mare e quello della focaccia.
Lo vidi bene Beppe, con la maglia
iridata. La speranza di vederlo primo in via Roma c’era, eccome. Ma era in
qualche modo affievolita dai risultati degli anni precedenti.
Poi, come un rito che si
rinnovava da anni, a casa per la telecronaca.
C’era già il colore, ma quello
scatto vissuto in bianco e nero aveva un sapore antico.
Scattò alla maniera dei grandi :
come Merckx, si disse .
.Non deve apparire troppo
azzardato il paragone con il campione belga il quale disse che Saronni,
diventato veramente un campione, era partito sullo stesso tornante dove lui,il
Cannibale, nel 72 aveva piantato Motta e Gosta Pettersson.
Sul Poggio Beppe parve proseguire
la volata di Goodwood, e quella del Lombardia e, ancora, quelle di tante corse
che lo avevano visto primeggiare
Si presentò a Sanremo da solo e
in Via Roma , per la prima volta, alzò le braccia al cielo, scrollandosi di
dosso i fantasmi di De Vlaeminck, di Gavazzi, di tutti gli altri avversari.
Una vittoria maiuscola, che non
mancò di suscitare commenti lusinghieri, alcuni addirittura trionfalistici.
Doveva essere la sua quarta
vittoria. Fu invece la prima che arrivò -come scrisse Raschi- “ in una maniera che chiude la bocca, che
toglie il respiro, direi, a coloro che lo avevano battuto.”
Francesco Moser, che era passato
per primo sul Turchino e che aveva infiammato la corsa sulla Cipressa,
transitando in vetta al comando, riconobbe l’efficacia dello scatto perentorio
dell’avversario, pur non nascondendo la convinzione di essere stato, in quella
giornata , più forte del rivale. Sarebbe stato bello vederli duellare in volata
ma Saronni, con uno scatto irresistibile, da purosangue , negò a Francesco
quella soddisfazione.
Fu un trionfo, in una giornata
caratterizzata da una cornice di pubblico che non si era mai vista sulle strade
della Sanremo : da Milano a Pavia, da Novi a Ovada, sul Turchino e sulle strade
della Riviera un milione e mezzo di persone – si disse- applaudirono i
corridori.
Ed io ero euforico quella sera.
Se ne accorsero anche i miei amici quando, dopo una serata al cinema (Sapore di Mare, era il film, quello con
il riferimento al successo di Gimondi al Tour de France ) andammo in birreria.
.
“Ma che ti è successo, Mario?”mi chiedevano. “”Ma non l’avete visto Saronni?”, rispondevo eccitato.
L’indomani mattina, con Corrado e Paolo, feci
un ‘uscita in bici. La salita di Sant’Apollinare, sopra Sori, pur impegnativa
,l’affrontai con grinta, con un entusiasmo che non era stato fiaccato dalle
poche ore di sonno. Scendemmo poi a piedi a Megli , passando attraverso una
“creuza”(una di quelle che De Andrè, l’anno successivo, avrebbe reso celebri)
in mezzo agli ulivi.
“Ma non l’avete visto Saronni?” continuavo a domandare ai miei
compagni di pedalata.
Sembrava l’inizio di una lunga
teoria di vittorie, per Beppe. Fu, invece, l’ultimo acuto in una classica
monumento, prima della vittoria al Giro d’Italia che chiuse un ciclo
irripetibile.
Per ironia della sorte, in quella
tarda primavera dell’83 si chiuse anche la parabola di Enzo Tortora, coinvolto
in una vicenda giudiziaria dalla quale , dopo mille traversie, uscì innocente,
ma distrutto.
Quando, alcuni anni dopo, si
ripresentò sul palcoscenico televisivo , formulò una domanda al suo pubblico. ”Dove eravamo rimasti?”, fu il suo
esordio.
La stessa domanda avrebbe potuto
rivolgere ai suoi tifosi anche Saronni allorchè, nell’86, si riaffacciò alla
ribalta del grande ciclismo dopo due anni bui.
Non la fece, ma io sapevo
comunque la risposta: eravamo rimasti a quelle “Classicissime”, caro Beppe,
quelle perse per un soffio e quella del trionfo.
Eravamo rimasti in quegli anni e
ancora oggi, in verità, un pezzo del nostro cuore lo abbiamo lasciato sulle
strade di “quelle” Sanremo.
Ne avremmo viste anche di più
entusiasmanti ,ma non sarebbero state quelle dei vent’anni.
Anche per questo, almeno per noi,
hanno un sapore speciale.
Mario SILVANO
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