Mémoires du Tour. 1994, prima tappa: drammatica volata ad Armentières




La prima tappa del Tour del 1994 doveva essere la festa dei velocisti e mancò poco che finisse in tragedia. E non a causa d’improvvisi cambi di traiettorie, di arrotamenti o di scorrettezze tra i corridori. Niente di tutto questo, perché – almeno per una volta – non si dovette discutere di responsabilità dei ciclisti.
E’ pur vero che negli sprint a ranghi compatti c’è sempre un po’ di pathos e cadute spettacolari non sono mai mancate nella storia del ciclismo e in particolare in quella del Tour, dove un successo di tappa è un gioiello da incorniciare e, per taluni, rappresenta la soddisfazione più grossa di una carriera.
Gomiti aperti e codate – quante se ne son viste! – ma quel giorno ad Armentières fu diverso.
C’era anche Abdoujaparov e la presenza del velocista uzbeko rimandava alla memoria quella caduta spettacolare sui Campi Elisi, nell’ultima tappa del Tour di tre anni prima, quando “Abdou”, scatenato e irruente come il solito, finì contro le transenne coinvolgendo nella caduta altri corridori.

In quel 1994 avevamo già assistito, in verità, a cadute spettacolari.
Nell’arrivo di Salamanca, al termine della prima frazione della Vuelta, Cipollini e Baffi si erano urtati durante la volata.
Il toscano era andato a sbattere contro le transenne e, dopo essere rovinato sull’asfalto, era rimasto svenuto prima di essere trasportato all’ospedale. Trauma cranico e costole rotte gli costarono la partecipazione al Giro e al Tour, compromettendogli la stagione.
E anche nella prima tappa del Giro d’Italia, un chilometro prima dell’arrivo in Via Indipendenza a Bologna, un corridore aveva sbagliato traiettoria provocando la caduta di ciclisti e spettatori.
Che ci fosse una sorta di maledizione che colpiva la prima tappa delle corse a tappe di quell’anno?

La risposta l’avremmo avuta sul rettilineo che immetteva in Place de Gaulle, dove si sarebbe conclusa la prima frazione del Tour de France.
Dopo duecento chilometri e cinque ore di corsa sotto la canicola, il gruppo si presentò compatto, secondo le previsioni della vigilia, all’ultimo chilometro della Lille – Armentières.
La proverbiale e tradizionale organizzazione del Tour sembrava non lasciare spazio a critiche di sorta. Quasi per sottolineare l’efficienza della “sua” corsa, Jean-Marie Leblanc rilevava che, per evitare possibili incidenti nel finale, le transenne sarebbero state diverse rispetto a quelle usate al Giro, con piedi d’appoggio meno sporgenti e, pertanto, meno pericolosi.
Come se ciò non bastasse negli ultimi trecento metri erano state appoggiate sopra le transenne delle placche metalliche: nessuna sporgenza avrebbe intralciato la sicurezza dei corridori.
Se fossero caduti, quindi, sarebbe stato affare loro, di quei funamboli che talvolta si dimenticavano di rispettare regole di bon ton negli ultimi metri di gara.

Quando la volata è lanciata, tutti i migliori sprinter sono nelle prime posizioni.
Il campione belga Nelissen scatta ai trecento metri finali. Abdoujaparov, che gli è a ruota, esce alla sua sinistra a centro strada.
I due sono lanciati in un appassionante testa a testa e, a cento metri dal traguardo – dopo una leggera curva sulla destra – si presentano praticamente appaiati. Nelissen, testa bassa sul manubrio, è vicino alle transenne, tanto vicino che nessuno alla sua destra può rimontarlo…..

Tra gli spettatori privilegiati della volata ci sono i poliziotti locali. Assistere ad una volata del Tour in prima fila non è cosa che capiti tutti gli anni. La consegna è stata chiara: devono stare incollati alle transenne, immobili, e saranno ricompensati da un’emozione unica.
Uno di loro si porta anche la macchina fotografica, perché una giornata cosi chissà quando ricapita: l’indomani sarebbe ritornato a dirigere il traffico, a fare contravvenzioni, ma avrebbe conservato un ricordo da mostrare in famiglia e agli amici.
Poi gli è stato ordinato di stare a cinquanta metri dall’arrivo, mica come quel collega relegato ai settecento finali che non potrà neanche immaginare com’era andata a finire.
Lui li vedrà i primi, vedrà il vincitore alzare le braccia al cielo, magari finirà pure in televisione.

Quando lo speaker annuncia che il gruppo è in prossimità del traguardo, il poliziotto non resiste. Ha la macchina fotografica, la estrae dalla tasca, si prepara a un’istantanea che potrà ingrandire e mettere in ufficio.
E’ pronto, ai cinquanta metri dalla linea d’arrivo.
La messa a fuoco è perfetta, il gomito allargato, il dito sul pulsante pronto a scattare.
Forse non ha mai assistito a una volata in vita sua e neanche immagina la velocità e l’agonismo che caratterizzano il finale a ranghi compatti di una tappa del Tour
Nelissen in quel punto è un missile: testa china sul manubrio, vicino alle transenne, non si accorge di quel tale in divisa. Il belga stringe appena sulla sua destra e l’urto è inevitabile: il poliziotto vola letteralmente per aria, vola Nelissen e dietro di lui Jalabert, Fontanelli e Gontchenkov cadono rovinosamente sull’asfalto


Abdoujaparov schizza via e si aggiudica la tappa, ma poco importa chi abbia tagliato per primo il traguardo.

L’attenzione di tutti è concentrata su quanto appena accaduto, che ha dell’incredibile.
Ci sono corridori a terra, chiazze di sangue ovunque, si teme il peggio.
Jalabert ha sbattuto la faccia, gli incisivi sono schizzati via. Nelissen è immobile a terra (sarà solo trauma cranico, per fortuna), e accanto a lui c’è Fontanelli in lacrime, con la bici accartocciata e la nera impronta della moltiplica stampata sulla guancia.
Il replay della ripresa televisiva rivela che l’imprudente poliziotto, centrato da Nelissen come un birillo e prontamente rialzatosi, era stato nuovamente investito da un altro corridore.
Un suo collega, con un balzo felino, era riuscito a superare le transenne evitando un ulteriore, rovinoso impatto.



Tour finito dunque per Jalabert che, reduce da sette successi alla Vuelta, contava di ben figurare nella corsa di casa. Così come per Nelissen, costretto a rinunciare alla lotta per la maglia verde che, alla fine, sarebbe andata sulle spalle di Abdoujaparov.
Si accendono le polemiche nel dopo corsa e Giancarlo Ferretti si toglie qualche sassolino dalla scarpa, tirando le orecchie agli organizzatori del Tour.
Il giorno successivo ci sarebbe stato un altro arrivo volata – senza poliziotti, stavolta – e Fabiano Fontanelli, tutto lividi ed escoriazioni ma per nulla intimorito da quanto accaduto, si sarebbe piazzato al nono posto.
Si sa, i velocisti hanno sette vite.

Mario Silvano ( www.ilciclismo.it, 2009)

 


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