Mémoires du Tour. Eros Poli, "Monsieur Ventoux"
E’ stato definito in vari modi, il Mont Ventoux.
Per Roland Barthes, il famoso semiologo francese, era il Dio
del Male cui bisognava dedicare sacrifici; Gian Paolo Ormezzano ha definito
“marcia della morte” la salita della montagna provenzale; Joseph Groussard,
velocista transalpino degli anni ‘60, disse che era meglio disputare cinquanta
sprint piuttosto che scalare il Ventoux.
Luison Bobet l’aveva domato, nel 1951, ma nella notte
successiva avrebbe confessato al fratello che era letteralmente distrutto.
Kubler l’aveva sottovalutato, il Monte Calvo, e quasi ne uscì pazzo dopo averlo
scalato, tant’è che il giorno dopo avrebbe abbandonato il Tour e il ciclismo.
Merckx fece l’impresa al Tour del 1970, ma ci volle la
maschera d’ossigeno per farlo respirare dopo l’arrivo.
Simpson morì lassù, in un torrido pomeriggio di luglio del 1967.
Poi c’è chi sul Ventoux ha lasciato il segno: Charly Gaul,
nella cronoscalata del ‘58; Thevenet, nel ‘72, e Marco Pantani nel 2000, al
termine di quella volata con Armstrong che fa discutere ancora oggi.
Da quando Luciene Lazarides vi transitò in vetta per primo
alla Grand Boucle – era il 1951- il Ventoux ha sempre rappresentato qualcosa di
più di una difficile ascesa.
Nel 1994 la salita battuta dal mistral, in quel paesaggio lunare unico al mondo, era stata inserita nell’undicesima tappa, prevista da Montpellier a Carpentras.
Una cavalcata di 231 chilometri nel Midi della Francia, un antipasto
delle salite alpine che sarebbero state affrontate dall’indomani.
Era un lunedì quel giorno, il 18 luglio.
Non faceva neppure notizia quella tappa, oscurata dai titoli
e dai commenti dedicati alla finale di coppa del mondo di calcio che si era
disputata il giorno prima a Los Angeles.
Le lacrime di Baresi, il rigore sbagliato di Baggio, la
sconfitta con il Brasile: di questo si discuteva, più della posizione in
classifica di Pantani, a quasi dodici minuti da Indurain. Il Ventoux era
collocato lontano dall’arrivo e una possibile fuga del romagnolo doveva
confrontarsi con troppi chilometri prima della conclusione nella città di
Carpentras.
Probabile una fuga di comprimari, dunque, destinata a
infrangersi sulle rampe terribili di quella salita che, inutile nasconderlo,
non lasciava tranquilli i corridori.
Magari ci avrebbe provato Virenque, secondo in classifica,
ad infiammare gli animi dei suoi connazionali.
Dopo sessanta chilometri percorsi in gruppo si sgancia Eros
Poli.
Il granatiere (è alto quasi due metri e pesa ottantaquattro
chili) della Mercatone Uno aumenta rapidamente il suo vantaggio. E’ un ottimo
passista, ma la sua fuoriuscita dal plotone non impressiona nessuno.
Ci aveva già provato nella tappa di Futuroscope, senza
successo, perché erano andati a riprenderlo.
Il suo tentativo di giornata appare ancora più velleitario,
non solo per la distanza dall’arrivo, ma soprattutto perche c’è da scalare il
Ventoux.
Il vantaggio di Poli cresce rapidamente e anche questo fatto
non stupisce.
L’atleta veronese è un ottimo passista, è stato medaglia
d’oro nella cento chilometri a squadre dieci anni prima, alle olimpiadi di Los
Angeles e a Villach, tre anni dopo, ha conquistato la maglia iridata nella
stessa specialità.
Pedalare a ritmo elevato per tanti chilometri non lo
spaventa di certo, ma sulle salite è un’altra cosa.
Lui è abituato a percorrerle nel gruppo dei velocisti, con
un occhio al tempo massimo: potrà arrivare anche ai piedi del Ventoux,
certamente, ma il suo tentativo è destinato a spegnersi lungo la terribile
ascesa.
Semmai si discute di quello che potrà accadere tra i
pretendenti alla maglia gialla: se Indurain riuscirà a difendersi, se Pantani e
Virenque proveranno ad attaccarlo.
Nessuno si preoccupa, nel gruppo, e il vantaggio aumenta a
dismisura: cinque, dieci, venti minuti.
I più sono scettici: nella tappa di Futuroscope aveva
accumulato un vantaggio di oltre diciotto minuti, ed era stato ripreso dopo 166
Km di fuga. Il tentativo odierno pare la replica di quello, sfortunato, vissuto
solo qualche giorno prima.
Il Ventoux si avvicina e all’attacco della salita il
veronese ha quasi venticinque minuti di vantaggio. A quel punto qualcuno
comincia a chiedersi: “E se Poli ce la facesse?” “No, non ce la può fare;
vedrete, in salita si pianterà”
Lungo la salita Poli arranca mentre dietro comincia la
bagarre. Pantani scatta portandosi dietro Leblanc, che per un po’ resiste allo
slancio del romagnolo.
All’altezza dello Chalet Reynard, a quota 1400, un quarto
d’ora di vantaggio è gia sfumato, e la salita è ancora lunga.
Il fuggitivo continua a pedalare, ma il vantaggio evapora.
Potrebbe piantarsi da un momento all’altro e la sua sarebbe comunque una bella
impresa, una sfida quasi vinta.
Quando Poli è in vista dell’osservatorio, ha ancora cinque
minuti di vantaggio.
E’ l’ultimo sforzo, perchè dalla cima mancheranno trentun
chilometri al traguardo.Si tratta di gestire quell’ultimo tratto e allora Poli
fa appello a tutte le energie che gli sono rimaste.
L’afa è insopportabile, da togliere il fiato, ma il Ventoux, per una volta, è benigno con chi lo ha trattato con rispetto. Non è stata aggredita, la montagna della Provenza, e sa ricompensare chi le si è avvicinato con coraggio.
Lassù, dove erano passati davanti a tutti Jean Robic e Julio
Jimenez, gente che dava del tu alle salite più impervie, scollina un gigante, e
non solo in riferimento alla sua mole.
” Allez, Polì!”, lo incoraggia il popolo del Tour, incredulo
e nello stesso tempo affascinato da quell’impresa.
Scattano i cronometri al suo passaggio e ormai tutti fanno
il tifo per lui.
Pantani è secondo a quattro minuti e trentacinque secondi;
Indurain e gli altri a più di sei.
Il romagnolo si rialza in discesa, e aspetta gli altri.
E’ fatta, per Poli. Ormai non lo prendono più, il veronese.
Rispetto alla fatica devastante patita in salita, sembra quasi una passeggiata
la discesa su Carpentras.
Arriva da solo, dopo una fuga di 171 Km e da quel momento entra nella leggenda del Tour.
Dopo tre minuti e trentanove secondi arrivano Pantani,
Virenque e tutti i migliori, ma le attenzioni sono puntate sul gigante di Isola
della Scala. La fuga di Futuroscope gli aveva regalato un momento di notorietà,
ma oggi è diverso, è l’eroe del Ventoux.
A chi gli chiede – e sono in tanti – il perché di quella
fuga ai limiti della pazzia, Poli fornisce una spiegazione curiosa. Era uscito
dal gruppo per appartarsi a fare pipì quando ha visto lo svizzero Jaermann che
scattava. Non aveva sopportato che un altro corridore della Gb Mg – la squadra
che si era dannata l’anima per andare a riprenderlo quando era in fuga qualche
giorno prima – lo seguisse anche in bagno.
E, pur riconoscendo che la scalata in solitaria del Ventoux
non lo aveva lasciato indifferente, spiega il suo segreto: gli restavano poco
più ventitrè minuti di vantaggio all’attacco della salita e facendo un rapido
calcolo aveva preventivato di perdere non più di 1’15’’ per ogni chilometro,
secondo quelle regole che i velocisti osservano per non finire fuori tempo
massimo.
Stavolta, però, le posizioni si sono rovesciate. Poli non
era nella rete dei velocisti: era davanti a tutti, sul Ventoux.
E’ il personaggio del giorno, Eros “Polì”. Per Leblanc, il
direttore del Tour de France, che lo ringrazia per quello che ha fatto, diventa
un vero e proprio eroe.
Il ragazzo che in Australia correva tra i dilettanti prima
di diventare un punto di forza del quartetto azzurro nella cento chilometri mai
avrebbe pensato che la sua fama sarebbe rimasta legata alla montagna cara al
Petrarca.
Da allora è diventato Monsieur Ventoux.
Mario Silvano, il ciclismo.it, 2009
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