Mémoires du Tour. Pirenei ,1961: Massignan e la tempesta

 

                             


ll Tour del 1961 era stato disegnato su misura per Jacques Anquetil.
Il campione transalpino, dopo il successo ottenuto quattro anni prima, non poteva correre rischi.
Ci sarebbe stato Charly Gaul ad impensierirlo per la vittoria finale ma gli organizzatori, per scongiurare sorprese, avevano inserito – al primo e all’ultimo giorno di gara – due tappe a cronometro, la seconda delle quali lunga ben 75 chilometri.
E, come da copione, il biondo normanno aveva messo tutti in riga sin dal primo giorno, dopo la seconda semitappa a cronometro di Versailles, e non aveva fatto grande fatica a mantenere il simbolo del primato.
Le due tappe alpine di Grenoble e di Torino erano state deludenti: solo nella prima Gaul aveva rosicchiato un minuto e quaranta secondi. Troppo poco per impensierire la maglia gialla, che sembrava avviata ad un trionfo in carrozza.
Restavano le due tappe pirenaiche, alla vigilia delle quali Anquetil si era presentato con un vantaggio rassicurante sul lussemburghese, quarto in classifica ad oltre sei minuti.
Tra i due aspiranti alla vittoria finale si erano inseriti l’iberico Manzaneque e l’azzurro Carlesi, il quale aveva ottenuto due belle vittorie, a Juan-les-Pins e a Tolosa, quest’ultima proprio alla vigilia della prima tappa pirenaica.
Assente Nencini, era impossibile per i nostri sperare in un colpaccio, ma la bella prova dell’atleta toscano e il primato nella classifica del miglior scalatore da parte di Massignan rappresentavano pur sempre una bella soddisfazione.
Era comunque un Tour noioso, il cui finale – salvo sorprese – sembrava già scritto.
Chi non aveva perso le speranze di assistere ad un finale incerto puntava sulla tappa, la sedicesima di quel Tour, che da Tolosa avrebbe portato i corridori, dopo 208 chilometri, all’inedito arrivo in salita di Superbagnères. .Ascesa non impossibile, ma lunga: diciotto chilometri di salita da Luchon ai 1800 metri del traguardo.




Gaul avrebbe dato battaglia? Era un auspicio, più che una certezza, anche perché pareva avere la testa altrove, giacché era in attesa del divorzio per convolare a nuove nozze.
Però lo scalatore lussemburghese era imprevedibile, capace di ribaltare a suo favore la situazione e di rendersi protagonista di straordinarie imprese, come aveva già dimostrato nel Tour del ‘58.
L’Equipe sembrava crederci, visto che presentava quella frazione pirenaica come il primo round dello scontro tra lui ed Anquetil.
L’avvio della frazione non è tuttavia dei più incoraggianti per lo spettacolo tanto atteso.
La prima parte della tappa, infatti, si trascina senza sussulti: centotrentachilometri di strada piatta, percorsi da un gruppo che procede compatto, in un’afa opprimente, con i Pirenei coperti di nuvole.
La prima asperità di giornata, il Col des Ares, è scalato ad un’andatura cicloturistica: solo in vista della vetta è lanciata la volata per raggranellare punti per la classifica del GPM e Massignan s’impone senza fatica.
A Saint-Beat Adriaenssens, Cázala e Kostolan tentano di prendere il largo, ma sono risucchiati.
Sul Col du Portillon il gruppo comincia a disgregarsi. Massignan non fatica ad imporre la sua superiorità e transita per primo in vetta. Precede Junkermann di 5 secondi e Gaul di 10.
Anquetil, Pauwels, Hoevenaers, Carlesi, Adriaenssens, Manzaneque, Foudhet e Planckaert transitano con 15 secondi di ritardo.
Si arriva ai piedi della salita finale tutti insieme e, superata Luchon, radiocorsa annuncia che un corridore è scattato e che ha affrontato l’era finale in solitudine.




Subito si pensa a Gaul, ma il numero – il 90 – non è quello del lussemburghese.
E’ il giovane neoprofessionista scozzese Laidlaw che, in barba ai pronostici della vigilia, si è lanciato all’assalto degli ultimi chilometri.
La prima parte della salita, caratterizzata da ampie curve, non è difficile e il tentativo del suddito britannico continua. Mantiene un vantaggio che oscilla tra i venti e i trenta secondi sui migliori e, a dieci chilometri dalla conclusione, è ancora solo.
Dietro lo insegue un gruppo di quindici corridori composto da Fouchet, Massignan, Gaul, Anquetil, Hoevenaers, Carlesi, Junkermann, Adriaenssens, Pauwels, Mathio, Dotto, Zamboni, Manzaneque, Ruegg e Huot. E’ il caso di dire che la montagna ha partorito il classico topolino, ma il tentativo dello scozzese dura ancora duemila metri.
Da qui in poi, una tappa che si è trascinata nell’anonimato per duecento chilometri e che ha fatto sbadigliare gli inviati, regala un vero e proprio “coup de théâtre”.
Cala la notte sui Pirenei e, lassù a Superbagnères, si scatena il finimondo.
Il vento aumenta d’intensità, fino a diventare una vera e propria bufera.
Pioggia e grandine si abbattono sul traguardo, ma è il vento a farla da padrone, con raffiche d’incredibile intensità.
La tribuna del pubblico si sfascia, lo striscione dell’arrivo è spazzato via: mai visto niente di simile all’arrivo di una corsa ciclistica.




Il Grand Hôtel sembra essere scosso dalle terribili folate, volano bottiglie d’acqua, sedie e i cappelli dei gendarmi. Uno scenario apocalittico che rischia di compromettere gli ultimi chilometri di gara.
I corridori devono combattere con il vento per restare in equilibrio e non essere abbattuti.
Ai meno quattro dal traguardo Massignan prova ad allungare ma è affiancato da Gaul, che sembra essersi ringalluzzito.
Quando manca un chilometro alla conclusione Imerio scatta nuovamente, guadagna una trentina di metri ma il vento implacabile lo spinge indietro e Gaul, ancora lui, rinviene.
Per un attimo, però, il vento concede una tregua. Un regalo insperato e Massignan ci riprova. Riparte nuovamente all’attacco quando mancano cinquecento metri e ne guadagna una decina sugli avversari.
Ma quando infila l’ultima curva, quasi per magia si ritrova con il vento alle spalle. Si volta e Gaul non c’è.
Carlesi rinviene da dietro e per un attimo il vicentino si chiede se non sia il caso di aspettarlo e lasciarlo passare. Ci sono di mezzo gli abbuoni e “Coppino” è terzo nella generale.
Al diavolo la gerarchia di squadra!
L’eroe del Gavia è a pochi metri da un traguardo che è soltanto una striscia bianca sull’asfalto, ma fino all’ultimo non è sicuro di farcela. Pensa alla tappa di Bormio dell’anno prima, alle forature, alla sfortuna che è sempre in agguato. Negli ultimi metri prega, addirittura, e il dio dei venti lo ascolta. Quasi non deve pedalare e la vittoria arriva.
Carlesi coglie la piazza d’onore, a 8 secondi; terzo è Junkerman a 14, che precede Anquetil.
I corridori arrivano stravolti sul traguardo; lo spagnolo Capillo è gettato dal vento contro le transenne, in un turbinio che lentamente si placa.




C’è mancato poco che anche stavolta Massignan fosse beffato, ma ora la gioia è grande.
Urla dalla gioia il miglior scalatore del Tour che ha legittimato con questo successo il primato nella classifica degli arrampicatori. Era dal ‘52, dal trionfo di Coppi sul Puy de Dome, che un azzurro non si aggiudicava un arrivo in salita nella corsa a tappe transalpina.
In casa Italia è festa grande: non solo per la bella doppietta e per il secondo posto di Carlesi nella classifica generale, ma anche per il successo di Guido De Rosso che a Superbagnères, prima che si scatenasse l’inferno, ha vinto la tappa del Tour de l’Avenir e ha indossato il simbolo del primato.





C’è chi s’illude per il giorno successivo, perché la cavalcata da Luchon a Pau con quattro colli pirenaici (Peyresourde, Aspin, Tourmalet e Aubisque) potrebbe riservare qualche bella sorpresa per i nostri colori.
Purtroppo non sarà cosi e quella tappa sarebbe diventata famosa per l’impietosa definizione che Jacques Goddet, il patron della Grande Boucle, avrebbe riservato ai big: erano “nani della strada” quei corridori, colpevoli di non essersi dati battaglia sui colli leggendari.
Massignan, che passò per primo sul Peyresourde, ci avrebbe anche provato sul Tourmalet, ma Carlesi stava male e lo pregò di non scattare. Poi, nella discesa dell’Aubisque forò e svanì il sogno di un fantastico bis.
Un’occasione mancata per il corridore della Legnano che quell’11 luglio del ‘61, nella tormenta di Superbagnères, aveva dimostrato al mondo del ciclismo di essere – almeno lui – un gigante della montagna.

Mario Silvano ( il ciclismo.it, 2011)



 

Commenti

Post popolari in questo blog

Mémoires du Tour. Chiappucci, il Sestrière e la fuga solitaria : io c'ero!

Emilia 1978: Felice e Franco scendono di sella