Buon compleanno, Italo!
L’ho capito tardi, una domenica d’agosto del 1973.
Erano appena passate le motostaffette, quelle con la tuta rossa, quando è
arrivato - tutto solo- Italo Zilioli.
Ha impostato la curva ed ha rilanciato la sua azione verso il traguardo di
Pontedecimo.
Ormai mancavano poche centinaia di metri al suo secondo successo nel Giro
d’Appennino , dieci anni dopo la prima vittoria. Era scattato sui Giovi e li
aveva lasciati tutti dietro.
Lì ho capito che Zilioli l’avevo sottovalutato, come atleta e come uomo., ritenendolo
-con uno di quei giudizi impietosi che gli adolescenti sanno dare- un atleta
destinato a collezionare piazzamenti, ad osservare quelli che lo precedevano.
Come quella volta che , in cima alla Bocchetta (era il 1969) inseguiva i
migliori, staccato ed in affanno, e con la ruota posteriore – mi pare di
vederla ancora- che faceva strani movimenti: forse l’aveva cambiata poco prima
e non era stata montata perfettamente.
Mi fece tenerezza, allora.
A distanza di tanti anni , invece, la figura di Zilioli mi ispira non solo
profondo rispetto per la sua carriera di corridore , ma anche tanta simpatia.
Perché penso che Italo Zilioli abbia lottato con sé stesso ancor prima che con
gli avversari, tanti e famosi, con i quali ha duellato nell’arco di tre lustri
di carriera.
Perché ha dovuto confrontarsi con paure, con dubbi, con tante responsabilità
che gli erano state rovesciate addosso.
Perché era un corridore che pensava, prima di parlare.
E che amava i silenzi, la tranquillità. Anche per questo, adesso, me lo sento
vicino.
Non è facile per nessuno esprimersi al meglio quando gli altri si aspettano tanto, forse troppo.
All’inizio degli anni 60 si cercava un nuovo Coppi, un giovane talento che potesse far rivivere le gesta del Campionissimo.
Fu cosi per Romeo Venturelli e per Zilioli fu ancora peggio.
Torinese di nascita, classe 1941 ( 24 Settembre), alto e magro, Italo Zilioli passa al professionismo alla fine del 1962.
Un altro piemontese che andava ad aggiungersi ad un vecchio leone ormai alla fine della carriera (Nino Defilippis) ed a un ragazzo , Balmamion, che aveva appena vinto il Giro d’Italia.
Ci sono tante aspettative per Italo, che , da dilettante, è stato campione italiano allievi.
Ha talento , è forte in salita: dicono che ricordi Coppi.
L’esordio nel grande ciclismo avviene al Giro dell’Appennino, il 23 settembre 1962, un giorno prima del compimento del suo ventunesimo anno.
Può sembrare una data come un’altra. Per Zilioli no. Sette anni prima,in un’altra domenica di settembre - il 18 settembre del 55-, Fausto Coppi era arrivato da solo a Pontedecimo, dopo aver staccato tutti sulla Bocchetta.
Chissà quanto ci avrà pensato, quel giovane torinese, trascorrendo una notte insonne, una delle tante della sua vita!.
L’indomani sembra che la magìa debba compiersi: Zilioli transita da solo sulla Bocchetta, ed il mito del Campionissimo sembra rivivere.
Poi, nella discesa su Voltaggio, esce di strada e il sogno non si avvera.
Ma è un esordio che alimenta, se ce ne fosse bisogno, le attese e le pressioni.
L’anno successivo disputa il suo primo Giro d’Italia, classificandosi al
sedicesimo posto .
Vince la prima tappa al Giro della Svizzera , ed è battuto in volata da Durante
al Giro del Piemonte.
Ma è la seconda parte della stagione che lo proietta definitivamente alla
ribalta: vince quattro classiche del calendario nazionale in rapida successione
:Tre Valli, Appennino, Veneto e Giro dell’Emilia.
All’Appennino trionfa in una giornata da tregenda, non lasciandosi intimorire
da condizioni atmosferiche proibitive e arrivando da solo a Pontedecimo .
Quest’ultima impresa rappresenta l’attesa conferma: gli appassionati si
entusiasmano, la critica si aspetta grandi cose.
Anchè perché Italo ha fatto pure un bel mondiale . A Renaix si è reso
protagonista , insieme a Elliott e Anglade , dell’azione più consistente della
giornata : una fuga a tre nella quale l’azzurro è stato il più brillante.
Walter Molino gli dedica una copertina della Domenica del Corriere e viene
persino pubblicato un libro: un instant book, si direbbe oggi.
E’il ciclista italiano del momento. Giacotto, ds della Carpano, decide di
puntare tutto sul suo pupillo: Defilippis viene liquidato in maniera non troppo
elegante e anche Balmamion, che pure aveva vinto due Giri d’Italia con la
casacca bianco- nera, cambia squadra.
Nel 1964, alla partenza del Giro d’Italia, i riflettori sono puntati su di lui.
Ha dimostrato di vincere alla grande le classiche del calendario nazionale, è
forte in salita, non gli resta che affermarsi in una grande corsa a tappe, per
la definitiva consacrazione.
Nella crono di Parma Anquetil trionfa : Zilioli in classifica è staccato di
2’36, ma ci sono ancora molte tappe.
Riesce a rosicchiare secondi su secondi al normanno ed a dimezzare lo
svantaggio.
Alla vigilia della Cuneo-Pinerolo, solo 82 secondi lo separano da Anquetil. Non
riuscirà a recuperarli in quella tappa né in quella di Oropa , ed al Vigorelli
non mancherà, per lui, qualche fischio.
Occasione mancata od onorevole piazzamento dietro al plurivincitore del Tour?
Le opinioni si dividono ma c’è chi sostiene che se Italo avesse osato di più,
se ci avesse creduto fino in fondo, forse sarebbe salito sul gradino più alto
del podio.
Ma è giovane , e può rifarsi. Intanto rivince il Giro del Veneto e si aggiudica
Un anno positivo, quindi: l’appuntamento con il Giro è solo rimandato.
L’anno successivo , però , si imbatte in un Vittorio Adorni troppo forte.
Zilioli vince in solitudine a Saas Fee, ma alla fine quasi 12 minuti lo
separano dal vincitore.
Cominciano ad affiorare i primi dubbi sul suo effettivo valore in una grande
corsa a tappe.
Mancano anche i consueti successi nelle classiche : poi Gimondi ha vinto il
Tour , e l’attenzione è rivolta al giovane bergamasco.
Nel 1966 la concorrenza comincia a farsi agguerrita: Gianni Motta corre alla
garibaldina e arriva primo a Trieste: Zilioli deve accontentarsi nuovamente
della piazza d’onore.
E’ qui che nasce l’etichetta che accompagnerà Zilioli per tutta la carriera:
tre secondi posti in tre anni al Giro, (un record, in qualche modo)lo fanno
diventare l’eterno secondo o, se si preferisce , il Poulidor italiano. .
Non sono mancati altri successi, come la vittoria nel campionato di Zurigo del
66 ma, globalmente, il bilancio di questi anni è stato -inutile nasconderlo- un
po’ inferiore alle attese.
Nel 1967 Zilioli passa alla Salvarani . Lui, che era stato capitano della Carpano e, poi, leader della Sanson nel biennio 65-66, transita alla corte di Gimondi.
In un’intervista rilasciata ad inizio stagione Zilioli pare quasi sollevato nell’assumere il nuovo ruolo e si confessa tifoso del ragazzo di Sedrina.
Dal punto di vista dei risultati, tuttavia, sarà la sua annata meno felice. E’ costretto al ritiro al Giro d’Italia e l’unico momento di gloria lo vive sulla salita del Block Haus, quando si rende protagonista di uno scatto sull’inedita salita proposta da Torriani. Viene ripreso da Merckx, che si impone al traguardo.
A fine anno cambia casacca, passando alla Filotex, dove resterà due anni.
E’ un periodo caratterizzato da parecchi piazzamenti, ma bastano le dita di una mano per fare il conto delle sue vittorie:
Vince il Giro della Campania, nel 68, ed al Giro d’Italia, che conclude al quarto posto , vince la tappa di Sanremo, precedendo Merckx.
L’anno successivo , nella corsa a tappe nazionale, ritorna sul gradino più basso del podio , aggiudicandosi un bell’arrivo in salita a Folgaria,
Ma ormai la scena nazionale è dominata da altri protagonisti e Zilioli pare destinato a ricoprire un ruolo di secondo piano.
Nel 1970 nuovo cambio di scuderia: alla Faemino diventa compagno di squadra di Eddy Merckx. Probabilmente il Cannibale ha avuto occasione di apprezzarne le qualità .
La scelta può sembrare azzardata, ma per Zilioli comincia un periodo di grandi soddisfazioni.
Una vera e propria rinascita, accompagnata da belle prestazioni e da significative vittorie.
Come quella ottenuta nella Settimana Catalana, dove si confronta brillantemente con i più bei nomi del ciclismo dell’epoca.
Come la tappa di Rivisondoli al Giro d’Italia dello stesso anno, che lo vedrà al quinto posto finale.
Come, soprattutto, la tappa di Angers al Tour quando Italo,
che mai aveva indossato la maglia rosa, ha l’onore di vestire quella gialla. E
di portarla per quattro giorni prima di “cederla” al suo insaziabile capitano.
Il quale, in verità, avrebbe voluto portarla dall’inizio alla fine della Grande
Boucle.
Ma Italo, in fuga con altri corridori ( tra i quali il suo compagno di squadra
Vandenberghe), resiste al forcing di Merckx e della Faemino e , aggiudicandosi
quella tappa con pieno merito, impedisce al belga di raggiungere il suo scopo.
Qualche giorno più tardì Zilioli, in maglia gialla, fora su un tratto di pavè:
nessuno dei compagni lo attende e l’insegna del primato ritorna -definitivamente-
sulle spalle di Merckx.
In quell’annata Zilioli si aggiudica anche il Giro del Piemonte, mentre perde
allo sprint il giro del Lazio, battuto da Dancelli.
Un Zilioli vitale, insomma, che si conferma anche all’inizio dell’annata
successiva quando vince a Laigueglia e fa sua
Corre nella Ferretti diretta da Alfredo Martini, ma durerà solo un anno.
Nel 72, nuovamente alla Salvarani, si aggiudica al Giro d’Italia l’inedito
arrivo in salita al Monte Argentario.
E’ormai uno degli anziani del gruppo, capace ancora di lasciare il segno in
virtù di una classe che non si è appannata.
Nel 73, passato alla Dreherforte, si aggiudica
Questa corsa sarà la sua ultima vittoria di rilievo. Ben pilotato da Pezzi,
scatta sui Giovi e arriva in solitudine a Pontedecimo. Come Coppi (ancora il
confronto con Fausto!) suggella la sua carriera nella classica della Bocchetta.
Corre ancora per tre anni, con la consueta serietà, fino al 1976, raccogliendo
qualche successo di secondo piano ed i soliti, innumerevoli piazzamenti.
L’ultima corsa, il Giro dell’Emilia, lo vedrà piazzato al posto d’onore .Una
coerenza esemplare, non c’è che dire!
E’ giudizio unanime che Zilioli sia stato un professionista serio, apprezzato
da tutti quelli che lo hanno avuto come compagno di squadra, rispettato dagli
avversari, ricordato con affetto da chi lo ha seguito nel corso della lunga
carriera.
Un gentiluomo che non amava le polemiche, schivo, riservato.
Timido, si è detto. Talvolta amletico, ad alcuni appariva freddo e distaccato,
quasi presuntuoso.
Eppure capace di emozionarsi. Come quella volta che -era il Giro del 70- si
lanciò in una lunga fuga nella tappa della Marmolada e per un momento fu maglia
rosa virtuale. Venne ripreso e dopo l’arrivo non riuscì a trattenere le
lacrime: fu Merckx, il suo capitano, a consolarlo.
Di poche parole , certamente . Nell’epoca del “Processo alla tappa” si
distingueva per i silenzi. Sergio Zavoli, che poteva contare sull’eloquio di
Adorni e sulle intemperanze verbali di Taccone per assicurare il successo alla
sua trasmissione, dovette sudare le proverbiali sette camicie per estorcere
qualche parola al sin troppo taciturno Italo,
Il quale pare che soffrisse di sonnambulismo e che , quand’ anche riusciva a
dormire, vivesse sonni tormentatati.
Defilippis, che fu suo compagno di squadra e di camera, ha ricordato che una
notte colse Italo appollaiato sul comodino, mentre rivolgeva a sé stesso
incitamenti, quasi che sognasse di essere in corsa.
Figura quasi ascetica . Vedendolo, lo si immaginava soggetto alle rigide diete
dei corridori, forse più di altri. Chi l’avrebbe detto che Italo fosse in
realtà un’ottima forchetta , dotato di un appetito formidabile, pari a quello
del suo conterraneo Livio Berruti?
Le sue paure (tra le altre anche quella dell’aereo) pareva che svanissero
quando si lanciava in spericolate discese , proprio lui che quando scattava in
salita e non riusciva a distanziare gli avversari, si demoralizzava.
Perché Italo in discesa era capace di rischiare: chiedetelo a Merckx, che non
riuscì a stargli dietro in una giornata di pioggia , scendendo dal Monte
Ghimbegna.
Il ruolo dell’eterno secondo gli è rimasto incollato addosso per tutta la vita
e così resterà nella storia del ciclismo .
La collezione dei secondi (e dei terzi, quarti, quinti…) posti ha un maggiore
peso rispetto al suo palmarès di successi che, benché inferiore
-qualitativamente e quantitativamente- a quello degli altri campioni di quegli
anni, non è affatto disprezzabile. Poco più di cinquanta vittorie, alla fine
della carriera.
Gli è mancata l’affermazione in un grande Giro, e neppure può vantare il
successo in una classica monumento.
Ma è stato un grande protagonista del ciclismo a cavallo degli anni 60 e 70 ,
confrontandosi con tre generazioni di campioni :da Defilippis a Baronchelli,
passando per Gimondi, Motta, Bitossi, Dancelli e tanti altri.
La sua serietà e la sua affidabilità sono state premiate: dopo essere stato apprezzato direttore sportivo di formazioni giovanili. , Zilioli è stato il responsabile delle partenze del Giro, nell’ambito dell’organizzazione della Corsa Rosa.
E’ stato un grande campione?. La risposta l’ha data lui stesso:”Non sono diventato un campionissimo perché non lo ero, tutto qui”.
Campione di modestia però lo sei stato: caro , grande, indimenticabile Italo!
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