La Gand- Wevelgem di Francesco Moser : born to be alive !




                               






                                   


 C’era un tempo, intorno agli anni ’70, in cui la Gand-Wevelgem si correva il mercoledì. Una sorta di corsa cuscinetto tra il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix, collocate in calendario la domenica precedente e quella successiva.

Una gara non solo più giovane rispetto alle blasonate classiche monumento (ideata nel 1934, solo nel dopoguerra fu disputata dai professionisti) ma anche più facile, senza i numerosi muri del Fiandre ed i terribili tratti in pavè della Roubaix.
Lunga sì, ma quasi tutta in pianura, ad eccezione del muro del Kemmelberg, rampa di lancio per i più ardimentosi.
Territorio di caccia dei corridori belgi sino a tutti gli anni ‘60 (uniche eccezioni la vittoria del’elvetico Graf nel 1954 e di Anquetil nel 1964), nel decennio successivo solo il britannico Hoban (nel 1974) e Hinault (nel 1977) avevano infranto il predominio dei corridori di casa.
Il bilancio delle spedizioni italiane non era confortante: per quattro volte sul podio (due secondi posti con Gimondi nel 1972 e Vittorio Algeri nel 1977 e due terzi posti, ancora con Gimondi nel 1968  e con Francesco Moser nel 1978), i nostri corridori non avevano mai iscritto il loro nome in un un albo d’oro che annoverava – tra le altre – tre vittorie di Van Looy, le altrettante ottenute da Merckx, la doppietta di Maertens e, in tempi meno recenti, quelle di Impanis e Schotte.

                                                                

                                                                                




Francesco Moser sembrava essere il predestinato: le sue ormai numerose e brillanti partecipazioni alle classiche franco-belghe di primavera, culminate nel 1978 con il successo alla Parigi –Roubaix, costituivano un significativo biglietto da visita per il campione di Palù di Giovo, ormai di casa da quelle parti tanto da essere soprannominato “Moser il fiammingo”. Al raduno di partenza di Gand, quel mercoledì 4 aprile del 1979, Moser si presentò con addosso i segni della caduta al Fiandre di tre giorni prima: i punti all’arcata sopraccigliare sinistra e le escoriazioni alle gambe erano l’ancor fresco ricordo della caduta di cui era stato vittima sull’ultima salita di giornata, quel Bosberg che avrebbe potuto costituire per il trentino – in gran spolvero quel giorno – il trampolino di lancio verso il successo finale.
Ben poteva maledire la sfortuna, Francesco, perché la caduta – avvenuta mentre si stava riportando su Thurau, che a sua volta inseguiva il fuggitivo Raas – era stata causata dalla manovra piratesca dell’ammiraglia del tedesco e dal comportamento sconsiderato del suo meccanico, che aveva attraversato la sede stradale non avvedendosi del sopraggiungere di Moser.


                                                                 



Dopo l’impatto e la caduta Francesco era risalito in sella e pedalando di fatto con un occhio solo si era piazzato all’undicesimo posto, ad un minuto e mezzo da Jan Raas.
Ma il Giro delle Fiandre aveva anche esasperato la tensione tra il campione italiano e Roger De Vlaeminck che, da compagno di squadra alla Sanson la stagione precedente, era diventato un acerrimo nemico. Il belga, passato in quella stagione alla Gis Gelati, non risparmiava giudizi al vetriolo su Moser, accusandolo di correre senza cervello e promettendo di fargli perdere non solo la Gand e la Roubaix, ma financo il prossimo Giro d’Italia.
                                                                   

Né Francesco si sottraeva alla guerra verbale a distanza e, alla notizia che Roger aveva un occhio chiuso a causa di un sassolino, non esitava a dichiarare che l’altro occhio glielo avrebbe chiuso lui. E ad osservare il suo volto, che sembrava quello di un pugile reduce da un recente match, quell’affermazione sembrava più una minaccia che una battuta e tutto lasciava presagire che alla Gand- Wevelgem si sarebbe assistito ad una guerra senza esclusione di colpi tra i due rivali.
E cosi fu, infatti.
La corsa, tormentata da un forte vento, vive il suo momento decisivo sul Kemmelmerg, un muro di pavè che produce la selezione. Se ne vanno in sette quando mancano sessantotto chilometri al traguardo: oltre a Moser ed al suo compagno di squadra De Witte ci sono Raas, Demeyer, Peters, Lubberding e, manco a dirlo, De Vlaeminck.


                                                                     



Il gruppo non sta a guardare e cerca di riportarsi sotto, sul filo dei cinquanta all’ora. Il vantaggio, che aveva sfiorato i due minuti, si riduce ad appena trentacinque secondi ad una quarantina di chilometri dal traguardo. De Witte cede, ma Moser non si scoraggia: lui e De Vlaeminck sono i più attivi ed il vantaggio risale ad un minuto, mentre anche Peters deve alzare bandiera bianca.
Il finale è particolarmente emozionante, con scatti e controscatti che si susseguono a ripetizione. Raas, Demeyer e Lubberding cercano la soluzione solitaria, ma Francesco li rincorre uno ad uno.
I cinque si presentano sul rettilineo d’arrivo a giocarsi la vittoria. C’è chi sostiene che il trentino abbia chiesto aiuto a Demeyer, invitandolo a impostare lo sprint da lontano


                             
Ed in effetti è proprio il belga a lanciare lo sprint. Francesco prende la ruota di De Vlaeminck, che affianca e supera dapprima Raas e poi Demeyer. Vola il gitano di Eeklo ma lascia spazio alla sua destra. È un corridoio ben sfruttato da Moser che, con una rimonta strepitosa, lo affianca.


                                                                   



De Vlaeminck devìa vistosamente dalla traiettoria per chiudere l’italiano. I gomiti dei due contendenti si toccano ma Moser, con un guizzo superbo, supera il rivale e taglia il traguardo, rischiando di finire addosso ai numerosi fotografi.


                                                                 



È un trionfo per Moser, una vittoria fortemente voluta e impreziosita da un ordine d’arrivo regale: secondo De Vlaeminck, terzo Raas. E tra i primi dieci non mancano neppure Hinault, al settimo posto, e Kuiper, al decimo. Sembra che il “gotha” del ciclismo mondiale si sia dato appuntamento nelle Fiandre Occidentali, quel mercoledì di inizio aprile!


                                                                    



La domenica successiva il nostro campione concederà il bis a Roubaix e De Vlaeminck, secondo all’arrivo, dovrà ancora una volta inchinarsi. Un due a zero che non ammette repliche e senza quella caduta al Fiandre ci poteva scappare anche una clamorosa tripletta.
Sarebbe stata, quella vittoria, l’unica ottenuta da Moser sulle strade della Gand-Wevelgem. Ma ormai la strada per i nostri colori era tracciata: sarebbero seguite, negli anni a venire, la doppietta di Bontempi (1984 e 1986), le tre vittorie di Cipollini (1992, 1993 e 2002) ed il successo di Luca Paolini nel 2015.


                                                                   



Certe vittorie, tuttavia, hanno una valenza speciale. Moser stesso, nel rievocare quel giorno, ha ricordato di avere temuto per la propria vita quando – non appena tagliato il traguardo – si era trovato davanti una “nuvola” di fotografi pronti ad immortalarlo. “Potrebbe essere l’ultimo scatto che si ha di me se non riesco ad evitarli…” racconta testualmente Francesco nella sua autobiografia. Con una serie di acrobazie riuscì in qualche modo a restare in sella e ad evitare il peggio. Ed in quella volata c’è tutto il Moser che abbiamo conosciuto: il coraggio, la grinta, la voglia di non arrendersi senza risparmiarsi. In una parola: la sua vitalità.


                                                                       



E per una curiosa e casuale coincidenza, una delle canzoni più ascoltate in quel periodo era “Born to be alive”: nato per essere vivo, un fortunato e ritmato motivo di Patrick Hernandez. L’ideale colonna sonora per accompagnare in sottofondo non solo le immagini di quella volata di Wevelgem, ma anche quelle delle fughe sul pavè, delle discese spericolate, delle sofferenze su tante salite e degli innumerevoli trionfi a braccia alzate dello straordinario campione trentino.

Mario Silvano

(www.ilciclismo.it, aprile 2020)

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