La Sanremo e la "campagna di Libia"
I vecchi suiveurs non amavano andare al traguardo di una
corsa. Passi per un arrivo in salita, ma per una classica che si conclude su un
rettilineo non c’è paragone. Vuoi mettere il passaggio sulla Bocchetta con
l’arrivo in piazza Arimondi?
No, la linea d’arrivo è fatta per i giornalisti che precedono le corse, per gli
invitati eccellenti, per qualche bel nome dello spettacolo o per l’ amico
dell’assessore di turno che magari non ha mai assistito ad una corsa
ciclistica.
“Noi, noi no!”, come dicevano Vianello e
Anche per
Poi nei primi anni '60 non c’era neppure l’Autostrada dei Fiori e Sanremo
sembrava un posto quasi esotico. “All’arrivo non si vede niente”,
sentenziava mio padre, e lo ripeteva tanto che alla fine finiva per
convincermi.
Era come allo stadio, almeno quelli di una volta,
dove tra il pubblico delle gradinate e quello delle tribune una differenza
c’era. Non è forse meglio una trattoria rustica di un ristorante
elegante dove magari mangi anche bene, ma i piatti non soddisfano il
palato? Anche quest’anno, quindi , il rituale sembrava destinato a ripetersi.
C’erano le Mànie: quale migliore occasione per un’incursione con
E se ancora avessi avuto dei dubbi, la cucina di Bruno li avrebbe
spazzati via.
Peccato per la coda in autostrada, ma la frittata di bianchetti, le acciughe
fritte e quelle ripiene valgono da sole il viaggio, come il Rossese di
Dolceacqua, d’altronde, che ne bevi quasi una bottiglia ma ti mantiene la testa
lucida. Purtroppo il ristorante lo cederà, ma mi ha assicurato che
continuerà a fare il cuoco.
Ho mangiato un po’ “de strangusciun”, come di dice a Genova:
di fretta, insomma, rinunciando a dolce e caffè, perché a quel punto volevo
già essere sul traguardo.
E’ breve il tragitto dalla Torre Saracena al lungomare e ho in tasca
il tagliando blu che mi attribuisce lo status - inedito per me - di
invitato. E’ caldo il sole, come si addice alla Sanremo, ed è giusto così:
sarebbe il colmo che la prima volta in tribuna fosse bagnata!
Esibisco il pass e mi accomodo tra gli ”eletti”. E’ un impressione strana e
nuova per chi è abituato a stare in piedi ore ad aspettare i ciclisti,
quasi un lusso. Poi c’è il maxischermo proprio lì davanti e – diciamolo pure -
è come stare in casa, ma con il sole che ti scalda. Gli anni passano
e certe comodità cominciano ad essere apprezzate. Non c’è il pathos della
strada ma non è malaccio, tutt’altro.
Arriva Gimondi, sorridente e dispensatore di autografi: sono passati 34 anni
dal suo trionfo con maglia iridata, ma sembra sia uscito di scena da
poco, tanto è l’entusiasmo e l’affetto che lo circonda. Era il marzo del '74
quando alzava le braccia in Via Roma, lui che nel Ponente Ligure (a Diano
Marina ) aveva conosciuto la compagna della sua vita.
Ma è l’arrivo di Cipollini, annunciato dalla speaker, che scuote i presenti: neppure se avesse corso avrebbe riscosso tanto successo! Mentre di Zandegù , sprinter di razza di quando portavamo i calzoni corti, si ricordano solo quelli (ed io tra loro) dai cinquanta in su. E’ pimpante Dino, e lo dimostra, intrattenendosi a conversare con due ragazze in minigonna. Arriva anche Loretto Petrucci, sorretto da due stampelle: le gambe non sono più quelle di un tempo, ma il volto conserva la fierezza di quando il suo “uno-due” lasciò il segno nella storia della corsa.
Il traguardo è ancora lontano, le immagini dell’isola
Gallinara scorrono sullo schermo, mentre accanto a me prende posto un
signore anziano il quale, in verità, non appare troppo interessato alle corsa.
Però ha appeso al collo il “pass” della Gazzetta: sarà un ex corridore - penso
- o comunque uno dell’ambiente..
Quando si è dalle parti di Laigueglia il mio vicino esprime un commento
sulla fuga dei tre. Incautamente osservo che il vantaggio è minimo e che la
fuga è destinata a finire.
Poteva essere l’inizio di una conversazione sul nuovo percorso o, magari,
sulle edizioni più o meno lontane (le sue e le mie) della Classicissima.
Invece, non so neppure come, inizia a parlare della sua esperienza di
vita e di lavoro in Libia . E’un racconto interessante, per carità, che mi
fa scoprire aspetti sconosciuti del paese africano. Senonchè prosegue senza
sosta, disinteressandosi ormai della vicenda agonistica che sta per entrare
nella fase calda. E così con un occhio seguo il maxischermo e con l’altro
(oltre che con l’orecchio) sono costretto a prestare attenzione ai
racconti del mio vicino, il quale mi ha designato – almeno per oggi - suo
confessore privato.
La Sanremo è ormai sul Berta quando apprendo che Gheddafi ha fatto un grande
lavoro, creando dal nulla città dove prima c’era solo il deserto. Mentre
Bettini scatta sulla Cipressa, poi, imparo interessanti notizie sul sistema
giudiziario libico nel quale, a differenza del nostro, l’effettività della
pena esiste sul serio. Un condannato per furto, infatti, passa
direttamente dall’aula d’udienza al taglio della mano.
Nella successiva discesa c’è una caduta, e a quel momento scopro che il
Nostro (che ha 81 anni ed è nativo del Canavese) in gioventù ha corso in bicicletta.
“Ai miei tempi, dice, i tubolari erano ben spessi, non certo come quelli di
oggi”. Lo guardo e – sarà anche per l’argomento della conversazione (più che
altro un monologo, in verità) - mi viene in mente Il the nel
deserto di Bertolucci. Sì, c’è una forte somiglianza con il
narratore (che era Paul Bowles, l’autore del romanzo). Almeno mi fosse capitata
una clone di Debra Winger!
Il tratto che precede il Poggio, si sa, spesso è quello in cui si giocano i
destini della Sanremo: c’è una fuga importante, ma è poco più di un dettaglio
insignificante rispetto alla vena d’acqua fresca, praticamente
inesauribile, che è stata scoperta in Libia, in mezzo al deserto, e che ha
consentito di irrigare terreni prima d’allora arsi dal sole. Quanto al
petrolio, poi, è il migliore del mondo e noi non siamo stati in grado di
trovarlo.
Ma noi italiani godiamo di pessima fama anche laggiù: coreani (grandi
lavoratori, quelli!) e filippini (girano tutti armati di coltello) ci
dileggiano sulle nostre capacità lavorative. Va bene, è interessante sapere
queste cose (tra l’altro intervengo educatamente, osservando che negli
ultimi anni
Magari sarebbe pure interessante conoscere qualche segreto nascosto tra quelle
carte, osare qualche domanda (su Enrico Mattei, le sette sorelle, l’ascesa
al potere di Gheddafi, addirittura Ustica, chissà!), ma ti pare questo il
momento?
La mia domanda, forse attesa, non arriva e allora il mio interlocutore si
avvia alla conclusione (“lei che è giovane - sic! - ci vada, in Libia”) proprio
mentre Gilbert si tuffa nella discesa. E mostra – finalmente! -, attenzione
alla gara, aguzzando gli occhi verso il maxischermo: siamo alla Sanremo,
perdio, mica al Giro della Tripolitania!
Arrivano le prime moto e l’atmosfera cambia: i fotografi si schierano e
L’uomo delle colonie si rivolge al cameraman, invitandolo ad una ripresa
ravvicinata ma, non avendo avuto soddisfazione, lascia la tribuna salutandomi,
portando con sé i suoi segreti. Osservo Zomegnan, che si aggira
soddisfatto tra il palco della premiazione e la zona delle
interviste, e per un attimo vedo in lui Italo Balbo, il governatore della
Libia, tanta è stata la suggestione dell’ultima ora.
Ci sono tante palme sul lungomare, la spiaggia è a pochi metri e il sole ancora
caldo: se non fosse per il Casinò e le cupole della chiesa ortodossa potremmo
anche essere a Tripoli, forse.
“lo vedo ma non e'
e' andato via da me
sta raggiungendo
Tripoli”
(Patty Pravo, Tripoli 1969)
Mario Silvano
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