Michele Dancelli: ottant'anni, ottanta successi ( almeno...)






E’ stato un corridore “corsaro” Michele Dancelli, uno che non si è risparmiato nella sua carriera.
Combattivo, grinta e carattere da vendere, amante delle fughe da lontano, forse neppure troppo amato da alcuni colleghi e certamente mai abbastanza apprezzato dalla stampa specializzata.
Eppure ha scritto pagine memorabili nella Storia del Ciclismo, e non solo quando vinceva

                                                       

                                                               


     



E’ stato protagonista di una stagione nella quale non mancavano i cavalli di razza , sia in Italia che all’estero.
Le definizioni che gli sono state attribuite (velocista, passista-veloce)  che di solito compaiono  sulle schede che lo riguardano ,non rispecchiano le vere caratteristiche del corridore che, ad eccezione delle prove contro il tempo nei Grandi Giri, poteva primeggiare e  vincere su ogni terreno. Pochi lo sanno, ma Dancelli si è aggiudicato tredici Gran Premi della Montagna, durante i Giri d’Italia disputati. Solo Bitossi, tra i corridori della sua generazione ha saputo fare meglio. Ha vinto il tappone dolomitico a Malga Ciapela nel 1970, è stato il corridore che per primo ha domato la Majelletta, al Giro del 1969. Ha staccato Gimondi sulla Bocchetta  all’Appennino del 1967: tanta roba, insomma.


                                                                


Adorni gli diceva: ”Vai forte in salita, vai forte in volata, ci puoi battere tutti. Ma chi te lo fa fare di impegnarti in quelle fughe?”
Perché Dancelli era fatto così. Gli piacevano le fughe, magari in compagnia dei migliori, con i quali giocarsi la vittoria. Senza eccessivi tatticismi o giochi di squadra. Un carattere individualista, anarchico,: forse è per questo che mi è sempre piaciuto. Un sognatore nomade , lo ha definito Gianni Mura.
Ha vinto corse dando spettacolo in maniera incredibile, alla maniera antica, ed ha avuto il merito di vincere la Sanremo dopo 16 anni di successi stranieri.
Quel giorno venne  consacrato campione, anche se lo era, e da tempo, a tutti gli effetti.


                                                                    


Ma non gli veniva unanimemente riconosciuto, a differenza di quanto capitava a Gimondi, a Motta, ad Adorni.

Merita  di essere ricordata un ‘intervista, rilasciata a Sergio Zavoli durante il Giro d’Italia del 1968, nella quale il famoso giornalista  stuzzica Dancelli –allora in maglia rosa- con domande sul suo carattere “ nervosetto”, sulla passione per le auto e per le donne, sul suo essere impulsivo. Michele risponde di buon grado, non reagendo alle provocazioni.

Ma quando Zavoli  gli chiede: “Lei che è indubbiamente un campione, perché non vince da campione?”, il bresciano  non ci sta, ricordando in particolare  le vittorie al Giro dell’Appennino degli ultimi due anni



                                                                        


E, infine,  alla domanda su cosa gli manca per essere considerato un campione vero, un grande campione, Michele  risponde che, forse,  sì, gli manca la vittoria in una grande corsa a tappe  : allora sarebbe stimato da tutti.

E pensare che , all’epoca dell’intervista, Dancelli aveva vinto quarantatré corse : più di quante ne avessero vinto sino ad allora Gimondi e  Motta, più di Adorni, di Bitossi e di Zilioli.

Ma non bastava ,  perchè mancava qualcosa per l’ammissione  nell’Olimpo dei Grandi.


                                                                 


Poi arrivo’ la Sanremo, quella Sanremo, una vittoria che – all’epoca- per un italiano valeva più della corsa a tappe nazionale.  Allora ci fu  l’investitura ufficiale  e - finalmente ! – venne considerato  un campione.


                                                                          


Ma sul più bello  ci si mise di mezzo  la sfortuna. All’inizio del 1971, una brutta caduta durante una tappa della Tirreno-Adriatico gli provoca la frattura del femore: da quel giorno Dancelli non è più lui.
Ci sono, è vero, altre vittorie ed altri piazzamenti di rilievo  in maglia Scic,  e Michele non è mai domo perché si batte con la  consueta grinta, ma i risultati non sono quelli degli anni migliori.


                                                                      


 Quando  appende  la bici al chiodo -nel 1974, alla vigilia del Giro d’Italia- i giornali non gli dedicano che brevi trafiletti. “Non posso mendicare piazzamenti. Meglio lasciare ai tifosi un buon ricordo”., dichiara in quei giorni.

Non solo i  suoi tifosi non   l’avrebbero mai dimenticato ma oggi,  a  quasi cinquant’anni  dal suo ritiro dal palcoscenico del ciclismo, la sua fama è più viva che mai. Per chi  ha i capelli grigi è un mito dell’infanzia e dell’adolescenza , per chi non l’ha visto gareggiare è una figura da riscoprire e rivalutare, per i giovani un corridore per il quale  vorrebbero tifare.


                                                                     


Una sorta di rivincita postuma   perchè si sa che, talvolta, il tempo è galantuomo.

Compie ottant’anni, Michele, un traguardo importante . E non ha perso lo smalto dei giorni migliori perché si incavola di brutto quando legge che i sui successi in carriera sarebbero 54, come appare  (erroneamente)su Wikipedia . Ed ha ragione, perché Michele ha vinto molto di più,   anche più di quelle settantatré vittorie che gli vengono di regola accreditate: almeno ottanta successi , come i suoi anni.


                                                                                 


Buon compleanno, Campione!

Mario Silvano  



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